Da giorni infuria l’indignazione sull’affermazione di Vittorio Feltri, Direttore di Libero, nella trasmissione Fuori dal coro di Mario Giordano. Egli ha poi chiarito che parlava d’un’inferiorità economica e non antropologica. Questa correzione vogliamo prenderla per buona: d’accordo, non è stata imputata alcuna inferiorità reale, fatto sta che sembra quasi che sia stato già detto: “I meridionali sono inferiori!”; da molti, in diversi periodi. La verità è che nel Settentrione d’Italia di tale nostra supposta inferiorità si parla molto, anche troppo, e che come questo non è il primo non sarà nemmeno l’ultimo insulto che ci verrà rivolto e anzi, visto come tendiamo a (non) reagire, ne subiremo ancora altri.
Non farò una critica moralista, non appoggio chi vorrebbe proibire d’esprimere alcune opinioni; reputo piuttosto che per chiunque affermi qualcosa debba esserci un altro soggetto che replichi. Se un’opinione è discutibile, sia discussa, non occultata! No, non mi associo a chi vuole Feltri radiato dall’Ordine dei Giornalisti, possa egli dire quello che vuole, come chiunque altro. Appellarsi a organi varî ed eventuali anziché rispondere sullo stesso piano è come chiamare la maestra per ogni cosa detta o fatta dal compagnetto senza mai farsi valere. Un oratore ha parlato, si sono offesi i Siciliani, i Meridionali? rispondano altri oratori, ma rispondano bene, non con mollezza.
Per quanto un intelletto indipendentista potrebbe scivolare fuori dall’accusa d’inferiorità versando sull’esclusione della Sicilia dal Meridione d’Italia, sappiamo che anche noi – e soprattutto noi, forse – subiamo tale inclusione nelle parole degli antimeridionalisti, perciò dobbiamo necessariamente difenderci. Ira suscitano in chiunque di noi i pensieri di coloro che ci reputano inferiori, a udirle e a leggerle. Ma poi, almeno in me, un dubbio s’insinua: e se fossimo davvero inferiori? E se avessero ragione i nostri nemici?
Forse siamo inferiori, perché in così tanti anni – più di centocinquanta – in cui veniamo vessati, derisi, ingiuriati, non abbiamo mai efficacemente risposto; perché se ben si risponde a un’offesa (e la si smonta), essa cessa per lungo tempo, e non è mai cessata in quasi due secoli. Ci continuiamo a fare mettere bellamente i piedi in faccia, poiché perlopiù le nostre risposte sono ispirate da un buonismo retorico che (accantonando financo le tecniche dell’oratoria!) evita di denigrare la parte avversa per non offenderla (poverina!) anche quando si tratta di ripagare con la stessa moneta. È una storia che va avanti da troppo tempo e spesso non facciamo altro che offrire il fianco agli affondi.
Forse siamo inferiori, perché quando ci vengono mosse critiche giuste – contro la corruzione, contro il disinteresse, contro la criminalità – molti di noi rispondono accusando i detrattori semplicemente d’invidiarci, perché “loro”, così dicono, “a differenza nostra, non hanno il sole e non hanno il mare”. Sole e mare, davvero? è di questo ch’è fatto un paese, uno stato che fosse, o qualunque altra compagine politica e culturale? Come si può, quando ci viene imputata una mancanza umana, rispondere vantando ciò che la natura ed essa sola ci ha dato, per la quale non abbiamo merito alcuno? E questo ci fa fare una pessima figura, grande al punto che potrebbe oscurare il Sole che decantiamo; ci anneghiamo con le nostre mani. Opere si vantano, non doni.
Forse siamo inferiori, perché non sappiamo chi siamo, e su questo i nostri nemici marciano allegramente. È facile dire: “Sei un poveraccio!” al figlio d’un principe che non conosce suo padre; meno facile, che se lo lasci dire chi ben conosce la propria nobiltà. E noi non conosciamo la storia, siamo perlopiù una tabula rasa! Nelle nostre antichità noi avevamo città gloriose – Agrigento, Gela, Siracusa, Messina, e da parte italica Reggio, Crotone, Sibari, Taranto – che conducevano una vita intensa, in un’epoca in cui gli antenati dei nostri calunniatori – non me ce vogliano tali antenati, ben più degni di stima di certi loro discendenti sbruffoni – di traccia storica non ne lasciavano alcuna, poiché ancora impegnati in una diversa fase (più arretrata, direbbero alcuni) di sviluppo. Che nessuno pronunci la frase: “si sono invertite le parti”! Persino nell’ideologia più razzista, una supposta genìa “inferiore” potrebbe essere definita tale solamente se alle sue spalle ha una cronica inconcludenza; com’è possibile, alla luce della storia, che la stirpe siciliana e quella sud-italica (o “vera-italica”?) debba essere definita inferiore da popolazioni che il loro progresso l’hanno cominciato ben dopo il nostro?
Forse siamo inferiori, perché in più di centocinquant’anni ci siamo fatti togliere ciò che avevamo; quando avvennero certi misfatti, i nostri compatrioti diedero pure una mano, e altre volte ne furono addirittura autori, facendosi aguzzini al pari degli stranieri – e non facciamo nomi (parce sepultis!). Siamo andati avanti nel progresso – guai se fossimo rimasti nell’Ottocento! – ma anziché farlo a velocità sostenuta come le più prospere regioni del mondo e com’era nostra possibilità fare, l’abbiamo fatto al rallentatore come se avessimo un freno a tenerci sempre dietro. E oggi non abbiamo niente, a confronto di ciò che ha chi c’insulta: non abbiamo le stesse opportunità, non abbiamo gli stessi successi, non abbiamo la stessa salute, per noi è tutto così insopportabilmente peggiore (fatte salve alcune eccellenze). Perché? Perché in tutti questi anni, in cui ci hanno chiamati inferiori, sono stati loro a renderci inferiori, privandoci di tutto, giacché quando quei certi sovrani d’(oltr’)Alpe e il loro entourage decisero di rifondare il Regno d’Italia, non lo fecero con quell’ideale romanico che aveva ispirati persino gli Ostrogoti, ma con la volontà di potenziare il loro personale dominio impernato sul Settentrione d’Italia. L’Italia moderna nacque già come estensione della Padania, stupisce che questa voglia oggi separarsene, quasi fosse la parte offesa!
Forse siamo inferiori, giacché molte nostre brillanti personalità anziché nutrire la patria vanno dritte dritte al Nord d’Italia e spesso non torna mai più, decretando la povertà delle nostre patrie, la Sicilia in primis e poi il Meridione d’Italia; questo perché, mancando la prosperità economica, non c’è modo di creare abbastanza “spazio”. Fa comodo alla Padania quando arrivano vagonate di manodopera servile (in un mondo in cui persino le più alte professioni sono proletarizzate); qualcuno dirà che non si può parlare di schiavitù di chi fa carriera, ma i tempi cambiano e certamente ci si ricorderà di quando venivano condotti schiavi a Roma parecchi intellettuali greci da impiegare come precettori, e i Siciliani e i Meridionali neanche a farlo a posta spesso sono richiesti proprio in posizioni di rilievo. “Inferiori economicamente”, si è corretto Feltri; ebbene, si dà il caso che al momento della creazione del Regno d’Italia (o meglio, annessione all’ex-Ducato di Savoia) dal Regno delle Due Sicilie sia stato versato oro pari a più del doppio di quello degli altri stati italiani messi assieme; come sia scomparso quel denaro e come improvvisamente la “grande Padania” sia prosperata è un mistero al quale pochi sono iniziati.
Sì, a quanto pare siamo inferiori, cari nostri calunniatori; ma quando è vero è colpa di chi ci ha governati (i vostri compatrioti), e quando è colpa nostra non è nemmeno vero. Ma ecco, lo vediamo come già dal principio la quasi totale mancanza di coscienza identitaria c’impedisce fastidiosamente e categoricamente d’alzare la testa e riprenderci ciò che ci è stato tolto e non farci mai più diffamare. L’unico modo per non essere più chiamati inferiori è rinunciare all’inferiorità in tutte le sue forme (e in tutte le sue seduzioni, giacché talvolta ci piace!). Esiste la nostra inferiorità, eccome, ma non è ciò che ai nostri detrattori piace farci credere, ed è ciò di cui dobbiamo prendere coscienza per infrangerla come un incubo quando ci risvegliamo.
Lo ripeto nuovamente, come non è la prima questa non sarà nemmeno lontanamente l’ultima volta, giacché certamente non cambia il destino ciò che ho da dire io. Ma la verità è che io, noi, voi, tutti, non ne possiamo più di questo corso degli eventi. Voi chiederete: qual è la soluzione? La storia non si fa con i se e con i ma. Si cominci aprendo gli occhi e alzandosi come in un nuovo giorno, il resto lo porterà il Sole man mano che naviga nel cielo.