La riflessione

Il coronavirus e “un’aula chiamata non lo so”

Stare nella dimensione della sospensione è difficile. Richiede equilibrio dinamico, capacità di adattamento all’imprevisto e al cambiamento. Incontrarsi con se stessi in un deserto che già c’era, ma da cui continuamente si vorrebbe essere tirati fuori da una notifica, da una legge, da qualunque cosa, definendo un confine, dia l’illusione di evadere dall’indefinito.

Cosa c’insegna oggi la vita

A me piace non poter dare risposte. Forse perché le  materie dei miei studi sono fatte di domande. Educare a questo significa molto. Adesso ci sta educando la vita, a non avere “fretta escatologica” (A. Andreu), a non anticipare il giudizio,       perché la realtà è molto più imprevedibile di quello che la nostra hybris ci portava a pensare. Se questa generazione impara qualcosa che nemmeno noi sappiamo, se per una volta la impara “con noi” e non “da noi” (G. La Maestra), in religioso silenzio, nel proprio retrobottega, questo è già un buon votum, che letteralmente significa promessa e desiderio.

Stare insieme

Poi, ci pensate, cosa significhi per genitori e figli finalmente stare insieme, guardarsi negli occhi, finire i giga dei tablet e sentire il richiamo di un nonno, doversi fermare… Scusate la riflessione, ma questa per me è la più importante lezione che potremmo fare, la migliore aula di tutte le scuole del mondo e che non dovremmo nemmeno inventare, perché è esattamente dove ci troviamo. Un’aula intitolata: non lo so.

E soprattutto comprendere che in questo non c’è niente di male, che nulla è richiesto se non una vigilante attesa. Entrare in quest’aula richiede coraggio: mi troverete con voi.

Gabriele Blundo Canto (l’immagine è il dipinto olio su tela di F. Blundo)