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Il detenuto messinese morto, la Garante Risicato invoca chiarezza. E sul caso Delmastro dice…

Mentre a livello nazionale tiene banco il caso Delmastro, in carcere continua a morire chi in cella non avrebbe mai dovuto stare. La storia e la morte di un 28enne di Messina, raccontata oggi da Tempostretto, con una madre che pensa a un pestaggio come causa. Un messinese con una vita passata più dietro le sbarre che fuori, malgrado l’acclarata tossicodipendenza e i problemi psichiatrici. E che rende tragicamente chiari quali sono i limiti veri del nostro sistema detentivo. E verso quale direzione sta andando il sistema penale italiano, come ha spiegato la giurista Lucia Risicato in questa intervista al nostro giornale. Partendo dal caso “virtuoso” del penitenziario messinese di Gazzi, Risicato analizza la vera emergenza carceri oggi e ha spiegato cosa possono fare nell’immediato le istituzioni.

“Il 29enne morto in carcere nell’Italia degli 80 suicidi dall’inizio dell’anno”

Quella stessa Risicato che ora, da Garante dei detenuti di Messina, denuncia quanto sia stato abbandonato il carcere e commenta così il carcere del ragazzo di 29 anni morto in cella a Catanzaro: “Invano, negli ultimi mesi, i garanti territoriali hanno testimoniato la situazione drammatica delle carceri italiane: 80 suicidi dall’inizio dell’anno, a fronte di un sovraffollamento quasi superiore a quello per il quale, nel 2013, l’Italia è già stata condannata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo. Lo iato tra la dimensione costituzionale dell’esecuzione della pena e quella reale è ben espresso dalle circostanze della morte di questo giovane, su cui ci auguriamo venga fatta immediata chiarezza”.

Continua la giurista, ordinario di Diritto penale (UniMe): “La chiarezza è necessaria perché il legale documenta segni di violenza sul corpo che richiedono una spiegazione. Perché, come spesso Leonardo Sciascia ha sottolineato, quando un uomo entra vivo in edificio dello Stato e ne esce morto, siamo di fronte a una sconfitta dello stato di diritto, ma soprattutto perché un detenuto tossicodipendente, invalido al 75 per cento e affetto da gravi problemi di salute non avrebbe dovuto trovarsi in carcere e, meno che mai, in un carcere lontano dal suo luogo di residenza”.
E ancora: “La chiarezza, beninteso, è necessaria anche nell’interesse di tutti gli operatori penitenziari e, in particolare, della polizia penitenziaria, che agisce in condizioni spesso difficilissime condividendo i disagi dei detenuti. Sebbene le gravi parole del sottosegretario alla Giustizia Delmastro sulle nuove auto in dotazione alla polizia penitenziaria lascino trapelare idee medievali sul trattamento delle persone ristrette, dobbiamo riaffermare il valore prioritario della dignità, che non si acquista per meriti e non si perde per demeriti, e la necessità che la pena non sia disumana. Se lo fosse, saremmo diventati disumani anche noi”.