La fortezza di Roccaguelfonia è nota come Matagrifone: scopriamo perchè
È risaputa la difficoltà che si ha in Messina nell’attribuire a un edificio più di cinquecento anni. La città ha avuto vicissitudini particolari che altre di medesima o persino minore antichità non hanno vissuto, ma la sua origine è remota, e in realtà molte delle vecchie strutture ancora esistenti non sono altro che rifacimenti d’edifici d’epoca molto più lontana.
Matagrifone millenaria
Uno di questi è la fortezza di Roccaguelfonia, meglio nota come Matagrifone, che si può fare risalire a più di duemila anni fa, quando Messina era una città-stato.
Era tratto ricorrente nelle nostre città antiche la presenza d’un punto sopraelevato rispetto alla zona abitativa, che fungeva al tempo stesso da fortezza, spazio politico e zona templare; dal Greco, questa è chiamata l’acropoli.
La rocca
Un punto di Messina nelle Historíai di Polibio di Megalopoli è definito appunto ákra, cioè la rocca (nel senso anche di cittadella, si noti), quand’egli racconta gli eventi verificatisi dopo l’occupazione mamertina della Peloriade, quando furono messi in rotta dal Re di Sicilia, Ierone II. Alcuni dei Mamertini chiesero aiuto ai Cartaginesi, i quali inviarono un distaccamento con un comandante che s’insediò nella cittadella (ákra) di Messina, altri si rivolsero a Roma; poi, quando giunse sulle rive dello Stretto il console romano Appio Claudio, i Mamertini cacciarono la guarnigione cartaginese dall’acropoli e aprirono le porte ai Romani.
“Gli ammazza-Grifoni”
Quale fosse il nome della cittadella in quell’epoca non lo sappiamo, ma il nome più antico tramandato è Matagrifone, finora sempre ritenuta una corruzione di Macta-griffones, cioè “Ammazza-Grifoni” (i Grifoni erano una fazione politica attiva a Messina e in Sicilia nell’era degli Altavilla). Un’altra teoria invece suggerisce la presenza di mater nel toponimo, dunque Matagrifone sarebbe la corruzione di Mater Gryphonum, ossia “Madre dei Grifoni” (intesi come uccelli leonini), in riferimento a una divina figura femminile che là abitava. Questo ci fa pensare alla presenza nell’acropoli d’un tempio dedicato verosimilmente a una dea madre, forse ornato da sculture o dipinti di leonini grifoni conservatisi anche dopo la conversione del sacrario alla venerazione mariana.
Quale dea madre?
Dee madri in Sicilia erano Cibele, Demetra e Persefone, ma quale delle tre è coinvolta? In qualche caso, i mitici uccelli grifoni erano associati a Rea-Cibele; oltretutto, la grande dea è raffigurata quasi sempre con una corona turrita, e il castello con tre torri è un antico simbolo di Messina, ma c’è di più: i popolani erano convinti che la roccaforte appartenesse alla gigantessa Mata (sempre Mater, e anch’ella coronata di torri!) che peraltro i colti conoscevano sotto il corretto nome di Rea o Cibele! Ciò che complica la situazione, è che spesso nel Cinquecento confondevano Demetra – la dea più celebrata in Sicilia – con sua madre Cibele, e che nell’arte i grifoni compaiono più facilmente al fianco di Artemide e talvolta di Venere, il che le rende ulteriori candidate alla dedicazione del Matagrifone. È anche possibile – e forse più probabile –, che non fosse madre di gryphones ma di griffones (le persone), i quali si recavano a pregare in tale sacrario convertito al culto della Madonna (donde un appellativo di Mater Griffonum).
Così, il dubbio si tramuta in un vero enigma impostato su simboli e parallelismi; le opzioni sono una miriade.
L’acropoli nel corso del tempo funse da comoda e imprendibile postazione fortificata che venne sempre più migliorata, tanto che nelle cronache più volte pare che il castello venga fondato ex novo. Infine ci è arrivato, per come lo conosciamo oggi: poderosa cittadella mai cancellata dai secoli, con il Sacrario di Cristo Re svettante su di essa.
Abituiamoci, in ogni caso, a pensare Messina come una città antica. Partendo da questo, risolveremo molti dei nostri problemi, a lungo andare.
Ipotesi sul tempio liberamente rielaborata da Archivio Storico Messinese 68.
Daniele Ferrara