Se c’è qualcosa che il 2019 lascia irrisolto e trasmette “in eredità” al 2020 è il mistero di Largo Avignone. Una storia trentennale che neanche il passare delle amministrazioni, delle burocrazie, dei contenziosi, è riuscito a risolvere. Una tela di Penelope che dal 4 ottobre 1985, quando nella notte sono state avviate le demolizioni delle abitazioni storiche, ad oggi, è lontana dalla parola fine.
L’ultima demolizione “clamorosa” è stata quella del gennaio 2018, finita in prima pagina per via delle dichiarazioni dell’allora assessore regionale ai Beni culturali Vittorio Sgarbi. Lo stesso assessore che poi corresse il tiro e si dichiarò a favore della costruzione del Grattacielo, purchè “dimezzato”.
A quasi due anni di distanza però il clamore è finito nel cassetto, almeno per quanto riguarda la querelle su quel che resta della storica palazzina “gemella” rimasta sventrata dalle demolizioni del 1985 e definitivamente abbattuta nel gennaio 2018. Dobbiamo considerare la telenovela Largo Avignone divisa in due parti: da un lato la querelle sul Grattacielo e dall’altro la gestione dell’area confinante con le palazzine settecentesche. La vicenda della cosiddetta Torre Avignone ha registrato un nuovo capitolo nel giugno di quest’anno e si procederà con la ricostruzione per anastilosi (nel rispetto del valore storico) così come richiesto dalla sovrintendenza.
Del tutto diverso è il caso dell’area confinante alla palazzina settecentesca “siamese” di quella demolita nel 1985, che restò sventrata e di fatto inabitabile. L’is.91 era infatti unita alla palazzina dell’is.83 dai muri maestri. Un po’ come con i birilli del bowling se ne butti già uno seguono gli altri. Nel 1985 la demolizione della prima palazzina lasciò la “gemella” sventrata ed inabitabile. Ma accadde l’incredibile. Nei successivi 30 anni infatti le società che si sono succedute nell’area hanno agito contro i proprietari confinanti citandoli in giudizio, paradossalmente, proprio per la pericolosità di quegli immobili divenuti pericolanti.
Le famiglie che si erano viste le abitazioni sventrate dalla demolizione del 1985, si trovarono oltre al danno del non poterci più vivere anche la beffa di essere citati per danno. La società confinante infatti denunciò un fermo cantiere dovuto al timore che la palazzina settecentesca “gemella” rimasta in piedi, potesse crollare sulla fossa di scavo.
L’isolato 96 verrà definitivamente demolito l’8 gennaio del 2018 a conclusione di 30 anni di causa, quando il giudice diede ragione alla società e condannò i proprietari al risarcimento danni. In teoria quindi, da gennaio 2018, quello che per la società costituiva un impedimento a costruire e cioè i resti storici, non c’era più. Ne consegue che oggi, a distanza di due anni, avremmo quantomeno dovuto vedere un nuovo cantiere. Invece nulla.
Non c’è assolutamente niente, neanche un cartello. E tra dieci giorni saranno trascorsi ben due anni dalle “ire”, poi rientrate di Sgarbi. Potrebbe sorgere il dubbio che il fermo cantiere sia stato solo un pretesto per completare l’eliminazione dei residui storici e cancellare passato e pregi.
C’è da chiedersi se è ancora vigente la concessione edilizia Socim del 2008, in base alla quale si è proceduto alla demolizione 10 anni dopo. La sovrintendenza peraltro, così come si evince chiaramente dalla vicenda dell’attigua Torre Avignone, ha imposto prescrizioni in merito alla ricostruzione che deve avvenire per anastilosi. A conclusione di una guerra giudiziaria durata 30 anni, perché non c’è ancora nulla? Esiste un progetto per quell’area, così come per il Grattacielo?
La facciata settecentesca di via Porta Imperiale a difesa della quale dal 1985 in tanti si sono schierati, sarà in qualche modo restituita alla città? I progettisti della Torre Avignone (che sarà di 10 piani e non più di 20) hanno chiarito i dubbi che la riguardavano. “Abbiamo smontato la facciata e la ricostruiremo per anastilosi- hanno detto a giugno gli architetti Sergio e Pasquale La Spina– E così come previsto, la facciata settecentesca sarà il prospetto che farà da portale alla Torre. Un intervento di architettura moderna nel rispetto del valore storico del sito”.
Ma per quanto riguarda l’area adiacente alla Torre, che cosa si progetta dal momento che sono stati demoliti i resti storici senza quel processo di recupero richiesto dalla sovrintendenza? Ci sono nuovi pareri? Nuove concessioni? Nuovi progetti? Esisteva davvero un danno per il fermo cantiere? E fino a che punto il temuto danno era più tutelabile della mancata valorizzazione di beni storici e architettonici?
Dell’antico rione Avignone non c’è più nulla, nessuna traccia della Messina pre terremoto, di quella zona dove Sant’Annibale riuscì a compiere il miracolo della “trasformazione” della miseria in accoglienza e speranza.
Costruite dopo il terremoto del 1783, le storiche palazzine erano state acquistate dalle originarie famiglie nobiliari ad inizio secolo scorso perché erano residenze borghesi di pregio. Erano le tipiche abitazioni settecentesche siciliane: la bottega al piano terra, l’ammezzato, quindi i piani superiori destinati ad abitazione (da qui il detto “casa e putìa”). Restarono abitate fino alla notte tra il 4 e il 5 ottobre del 1985.
Da quella notte, quando venne buttata giù la prima, iniziò un processo irreversibile. Se per quanto riguarda il Grattacielo Avignone si ha quadro di cosa accadrà, nell’area adiacente non c’è nulla. Né lo storico passato né un progetto per il futuro. Il presente è un’incognita. Abbiamo cancellato un pezzo di storia per non scrivere più alcuna pagina.