La “doppia sponda” della droga a Messina c’era, e a muoversi tra la Calabria e Catania erano le nuove leve del clan di Mangialupi, che si rifornivano di sostanze di ogni genere, poi spacciate attraverso i pusher locali. La conferma di quanto scoperto dai Carabinieri, che fecero scattare nel gennaio 2017 il blitz denominato appunto “Doppia Sponda” è arrivata stasera con la sentenza che chiude il primo grado del processo.
Il verdetto è della II sezione penale del Tribunale (presidente Samperi) e definisce 9 condanne e una sola assoluzione. Per quelli che tenevano le fila del giro le condanne sono pesanti, fino a 21 anni, mentre per almeno 4 persone i giudici hanno “corretto il tiro” rispetto all’accusa, riqualificando il reato contestato da traffico di droga a spaccio.
Ecco la sentenza, letta nel pomeriggio dopo una lunga camera di consiglio: 10 anni e 7 mesi per Giuseppe Venuti ,21 anni e 9 mesi a Marco D’Angelo, 10 anni e 4 mesi per Gianluca Miceli, 2 anni ad Alessandro Cutè, 10 anni e 3 mesi per Di Mento Salvatore, 3 anni e mezzo a Giovanni De Luca. Tutte le pene sono in continuazione con le precedenti condanne.
Accusa derubricata e condanna a 6 mesi per Salvatore Micali, Girolamo Oteri e Rocco Valente (per i primi due la pena è sospesa). Assolto Daniele Mazza.
Alcuni hanno incassato assoluzioni parziali, da singoli episodi di spaccio, mentre per gli imputati condannati alle pene più alte è stata decisa anche la sorveglianza speciale per due anni.
Altre otto persone finite nell’inchiesta, i principali protagonisti dei fatti ricostruiti dagli investigatori, avevano scelto il rito abbreviato ed avevano già definito la loro posizione nel settembre 2017. Anche per loro erano fioccate le condanne.
A stoppare il traffico di cocaina, hashish e marijuana che arrivava da Gioia Tauro e altre zone della Calabria, ma anche dalla città etnea, era stato il Nucleo Radiomobile dei Carabinieri, ai comandi del Maggiore Ivan Boracchia, che ha tenuto sotto controllo per mesi il gruppo che operava nel quartiere-fortino di Mangialupi. Centrale, nelle intercettazioni, la figura di Maurizio Calabrò, un vero e proprio “capo” del “traffico 2.0”. Molto attivo nelle chat, cercava di marcare la sua figura all’interno del giro e i suoi rapporti con gli esponenti delle altre città esibendo anche sui social i segni di riconoscimento e “fratellanza”, come un tatuaggio che aveva mutuato dal suo contatto catanese, e che aveva suggerito ai suoi bracci destri, per vedersi emulato.
Il processo ha visto impegnati gli avvocati Domenico Andrè, Salvatore Silvestro, Giovanni Mannuccia, Rosy Spitale, Melita Caffarelli e Carmelo Picciotto.
Ad infliggere il duro colpo ai trafficanti è stato il Nucleo Investigativo dei Carabinieri di Messina, ai comandi del Maggiore Ivan Boracchia, che da mesi teneva sott’occhio il gruppo messinese di Mangialupi, dove spicca la figura di Maurizio Calabrò, che aveva stretti rapporti con pregiudicati catanesi e che si riforniva di marijuana e cocaina anche in Calabria, Ecco perché l’inchiesta venne denominata “Doppia Sponda”.