Cultura

“Il valore della vulnerabilità”: Pupi Avati apre il nuovo Anno Accademico dell’Università

“Difendiamo il valore dello straordinario, l’unicità presente in ciascuno di noi”.

Ne hanno parlato tutti, è stata grande l’attesa e adesso è, finalmente, enorme la soddisfazione. Pupi Avati, l’immenso maestro del cinema italiano, con 50 film, 51 sceneggiature, 16 libri, 12 candidature al David di Donatello di cui 3 vinte, è l’ospite d’onore, al Teatro Vittorio Emanuele, per inaugurare, con queste parole, l’Anno Accademico 2019-2020 dell’Università degli Studi di Messina.

Tantissimi i presenti, Rettori delle Università di Italia, i rappresentanti degli studenti, il senato accademico, professori e ragazzi, un teatro pienissimo ed emozionato sin dall’inizio, dinanzi alla visione di un video che racconta l’Università di Messina e al nostro Inno intonato dal Coro d’Ateneo.

I saluti Istituzionali

I saluti Istituzionali spettano all’Assessore Bernadette Grasso e al Presidente del Teatro Orazio Miloro. “Il nostro territorio si sta dimostrando sempre più attento verso l’arte, la cultura, in una sinergia continua tra tutte le Istituzioni. Per poter dimostrare realmente, senza limitarci alle parole, che i nostri giovani possono restare qui”.

Il Rettore Salvatore Cuzzocrea ha manifestato il grande orgoglio di avere il  Maestro Pupi Avati ad aprire la 472esima inaugurazione dell’Anno Accademico dell’Università di Messina. Anno Accademico che si propone di raggiungere ancora nuovi traguardi e portare avanti i tanti raggiunti fino ad oggi, tutti destinati agli studenti, veri “datori di lavoro”, come afferma il Rettore. Abbiamo nuovi corsi di laurea, tantissime iniziative e opere di ristrutturazione, il cui successo è dimostrato dal 15% di aumento del numero delle immatricolazioni.

Tra i vari interventi il maestro Andrea Pappalardo ha diretto l’Ensamble Orchestrale Liceo Musicale “Ainis” di Messina, che ha eseguito brani tratti da colonne sonore di celebri film.

Francesco Bonanno, Direttore Generale, ha presentato i diversi progetti che si avvieranno nel 2020, tutti accomunati dai medesimi valori di fondo: “la semplicità, il rispetto, i principi di legittimità e trasparenza e la volontà di umanizzare l’agire amministrativo. L’Università deve diventare il luogo migliore per studiare, lavorare e crescere”.

A continuare i saluti è il Rappresentante del Personale Tecnico Amministrativo, Nunzio Feminò: “vogliamo mettere in valore competenze, impegno, esperienze, passione, vogliamo cioè mettere in valore il merito; riconoscere il merito è fare una buona amministrazione, aumentare la fiducia e i risultati”.

Andrea Muscarà, Rappresentante degli Studenti, ha elogiato “un’Università come la nostra che, attraverso la cultura, abbatte ogni barriera, pronta ad un anno pieno di sfide ed obiettivi da raggiungere, ma con tante soddisfazioni alla spalle, in modo tale da dire con orgoglio: io voglio restare!”.

A concludere gli interventi è Aly Traore, Studente con Protezione Internazionale, arrivato in Italia nel 2014. “Non è stato facile capire come entrare all’Università, è un percorso complicato, ma adesso mi sento in dovere di dire grazie. Sono iscritto a Scienze Politiche e posso portare avanti il mio sogno: laurearmi per dare aiuto al mio popolo”.

Un video sulla carriera di Pupi Avati introduce, infine, la Prolusione del Maestro.

Pupi Avati

“Ho 81 anni, sì signori, 81, e un pubblico che si rispetti dovrebbe esultare al mio pronunciare questa cifra! Ho ancora voglia di dire cosa sia la vita per me, insegnarla a voi presenti più giovani, anche se non tutti poi così tanto. Penso che alla mia età posso permettermelo”.

Con l’ironia e la profondità che lo contraddistinguono, Pupi Avati si è raccontato dinanzi al vastissimo pubblico del Teatro Vittorio Emanuele, ammaliato dalle sue parole.

“Vorrei leggervi le frasi iniziali della sceneggiatura di un film che forse non farò mai, parlo di Dante Alighieri. La vita di Dante è straordinaria sebbene ne sappiamo poco, e Boccaccio è stato il suo primo biografo. È stato realizzato un film su Chiara Ferragni, non lo si può fare su Dante? Sono convinto che la poesia di Dante nasca per la sublimazione del dolore, il dolore porta l’essere umano ad una più alta conoscenza e questa è anche la mia storia, è un po’ la storia di tutti” racconta Avati.

“Tutti noi abbiamo un sogno, ai miei tempi il sogno erano le ragazze, sebbene a Bologna le belle ragazze fossero davvero poche, come anche i ragazzi d’altronde, eravamo veramente brutti, non come il vostro Rettore che Magnifico lo è davvero! Il centro di tutte le mie giornate era la musica, i pezzi erano tutti lenti, lentissimi, si ballava con la mano pendula, stringendo alla vita la ragazza, si restava praticamente immobili ma stringendosi tanto, una fisica e redditizia conoscenza reciproca, non come adesso che ognuno sta per i fatti suoi! Ma io ero il timido che non ballava, stavo in un angolo, e in fondo, ugualmente a me, c’era la timida, la più brutta di tutti; noi eravamo destinati, sapevamo che le nostre schifezze si sarebbero sommate. A un certo punto della mia vita ho sentito di dover essere risarcito per tutto questo, per questa giovinezza infelice e, non essendo simpatico nè bello, mi sono inventato jazzista! Ma anche qui le cose non vanno sempre per il verso giusto. Il padre eterno non premia chi studia di più, o ascolta più dischi, ma chi ha più talento, per questo tutto è cambiato quando ho incontrato Lucio”.

L’incontro con Dalla

“Ero convinto che il mio futuro fosse il jazz, la mia più grande passione, finché incontro Lucio, questo ragazzo dal talento misteriosamente arrivato dall’Alto, l’ho sentito suonare e mi ha spiazzato totalmente, ha cancellato tutte le mie certezze, non sarei stato mai all’altezza. Ero invidioso da morire, soffrivo, regredivo in quella competizione, gli avrei augurato qualsiasi sciagura. Siamo andati insieme a Barcellona, abbiamo visitato la Sagrada Familia e speravo cadesse da lì, purtroppo non è successo e mi sono dovuto arrendere. Non so se si è capito, sto parlando di Lucio Dalla” ride il maestro.

“È stata un’esperienza dolorosissima ma fondamentale. Questo racconto serve a capire che a volte ci incaponiamo a fare una cosa per cui non abbiamo predisposizione, ogni essere umano ha il dovere di dire chi è; è venuto a mancare lo straordinario del noi stessi, dobbiamo tutelare la nostra unicità, basare su questa la nostra passione, rispettare il nostro talento per tracciare su di esso la nostra vita”.

“La scuola non mi ha aiutato a riconoscere chi fossi, mi ha fatto odiare tutte le materie. Feci un solo esame a Scienze Politiche sapendo che a casa mi aspettasse una grande festa organizzata da mia madre. Il professore capì dal mio pallore il mio terrore, mi fece tre semplici domande, a tutte e tre non seppi rispondere. Ma un ragazzo che non ha passato l’esame, sul treno che lo porta da Firenze a Bologna che voto può darsi? 26! Tutti a casa già mi chiamavano Dottore, credetemi è terribile essere festeggiati per una cosa che non hai fatto! Qui si è chiuso il mio rapporto con l’Università, ma inizia quello con il mio futuro. Su questa esperienza ho fatto un film ‘Festa di Laurea’, ogni cosa capita per un motivo” continua.

La vita è una collina

Cercate il vostro talento, non fate come me che mi basavo solo sulla passione. La vita è una collina, nella prima parte si sale sempre; l’essere umano crescendo pensa che sarà ripagato per la fatica una volta in cima, che avrà un premio. La vita è anche un‘ellisse; nel punto più basso il bimbo nasce, nel primo quarto incontra il mondo, impara a vivere, ad apprezzare le cose, e tutto ciò che ha attorno è convinto duri per sempre. Poi diventa un adolescente e un adulto e capisce che per sempre è solo la morte. Continua a salire, la collina o l’ellisse, ha un lavoro, una donna, ha una prospettiva sempre futura finché, come direbbe Dante nel mezzo del cammin di nostra vita, si raggiunge la cima, e avviene quello che in termini contadini si dice ‘scollinamento’. A me accadde mentre lavoravo per la Rai, prendo un libro e mi accorgo di non riuscire a leggere bene, il primo organo mi sta abbandonando, la cerimonia degli addi ha inizio, non c’è più sincronia tra il mio corpo ed il mio io e la fascinazione del futuro sparisce. Chi arriva in cima si accorge che ciò che verrà è molto più brutto rispetto a ciò che è già avvenuto e inizia allora a vivere nel ricordo, vi è un’inversione totale di polarità. Inizia un rientro a casa, la discesa dall’ellisse e dalla collina, la nostalgia della giovinezza, pensiamo a quanto fosse straordinaria e sprecata.

Crediamo che ogni cosa si fermi al terzo quarto dell’ellisse, io, invece, sono entrato nel quarto quarto e fa davvero paura. Ma ci sono e assomiglio sempre più al bambino che ero in partenza, voglio tornare figlio, tenere le mani in quelle dei miei genitori. Torno a quel bambino che sono stato e si accende in me di nuovo la dimensione del per sempre. Cosa rende così simile il vecchio al bambino? La vulnerabilità. Siamo spaventati, ridiamo e piangiamo con niente, ci sentiamo inadeguati, così sono i grandi attori, i grandi poeti, i grandi uomini, vulnerabili siamo noi e il nostro prossimo. Il mio grande desiderio e la mia grande nostalgia è sapere che mio padre e mia madre ci sono e mi aspettano a cena” conclude tra la commozione del pubblico in piedi ad applaudire.

È un grande elogio alla vulnerabilità, alla sensibilità, all’unicità di ciascuno di noi che va difesa, tutelata per dar valore al nostro presente e costruire il nostro futuro. Le sue parole resteranno impresse per sempre in ciascuno di noi.

Un grande maestro.