La rubrica della scorsa settimana, sul Notre Dame de Paris e sulla Fiera, ha aperto la scatola magica del “C’era una volta”. Ed infatti c’era una Messina viva, bellissima, quella che anche attraverso le foto dell’archivio dell’indimenticato fotoreporter Michelangelo Vizzini (grazie alla disponibilità della famiglia e del nipote Mirko) stiamo pubblicando, polo d’attrazione di turisti e vip, polo d’interesse per imprenditori e artisti. Era la Messina dell’Irrera a Mare e della Rassegna, del Teatro dei 12 mila, ma era anche la terra produttiva dei Rodriquez e della Birra Messina, dei Mulini Gazzi e dei Faranda. Appena pronunciamo la frase magica “c’era una volta”, escono fiumi di ricordi e di momenti indimenticabili. Messina, andando ancora più indietro è stata Capitale, è stata porto e crocevia, patria di ribelli e coraggiosi, di guerrieri e artisti.
Il problema non è quel che c’era ma quel che c’è oggi.
La nostalgia deve essere un moto d’animo costruttivo, benzina per accendere il motore ed andare verso un traguardo nuovo.
Rubo una frase che mi ha detto, proprio a proposito della rubrica sulla Fiera, Elio Conti Nibali: “Messina era bella, ma non ci sarà mai più la Messina del Teatro dei 12 mila. Ce ne deve essere un’altra e noi dobbiamo scommetterci partendo da questa realtà. Non dobbiamo più ragionare usando lo specchietto retrovisore, ma guardando avanti. I giovani non conoscono quella Messina, ma questa Messina, così com’è adesso ed è da questa che dobbiamo cominciare”.
Lo specchietto retrovisore è utilissimo quando facciamo marcia indietro oppure altre manovre difficili ma diventa dannoso se non guardiamo avanti, perché potremmo andare a sbattere contro un muro.
Il mio ragionamento sulla Fiera partiva proprio da questo concetto, ovvero l’urgenza di dare spazio non ad un’operazione nostalgia, ma ad una nuova Fiera, quella che servirà da “location” per i ricordi dei nostri figli e nipoti.
La nostalgia serve per capire da dove siamo partiti per non dimenticarlo mai, perché quelle sono le nostre radici. Ma abbiamo il dovere, con quello che c’è adesso, di costruire una nuova città che sarà bellissima per chi verrà dopo. Non deve essere una brutta fotocopia, un’edizione vintage dell’ex Irrera a Mare piuttosto che della Campionaria o dell’arancino di Nunnari. Deve essere qualcosa di totalmente nuovo.
Sempre Conti Nibali mi ha ricordato una frase di Maurizio Cheli, ex astronauta dell’Agenzia spaziale europea: “il volo è stata, è la passione della mia vita. Ho avuto la fortuna di fare l’astronauta e il pilota collaudatore e quando mi guardo indietro sono contento. Chiunque è stato nello spazio ha nostalgia di un’esperienza fantastica, emozionante ed indelebile. Ma bisogna andare avanti e non guardare al passato. La vita va vista a blocchi, come quando si è in macchina. Bisogna guardare avanti e non nello specchietto retrovisore”.
La nostalgia del volo, delle ali, dell’infinito, deve essere profonda. Ma non deve trasformarsi in una catena che c’impedisce di volare ancora. Magari anche di cadere, ma di provarci. E’vero, quello che è rimasto negli ultimi 20 anni sono macerie ed i rimpianti per quello che poteva essere e non è stato. Ma è da queste macerie che dobbiamo ricominciare, togliendo i sassi uno per uno, sporcandoci le mani e il volto di polvere e fango, ferendoci anche. Ma dobbiamo togliere il passato e piantare nuove radici.
Mi piace molto la frase che dice Lello Manfredi, direttore generale del Messina, a proposito del progetto per lo stadio Celeste, dove la squadra tornerà a giocare: “Non è un’operazione nostalgia”.
Manfredi, Proto, Fiumanò, Pitino, Magazzù, non vogliono tornare al Celeste pensando che come per magia se si torna lì tornerà anche il periodo d’oro del Messina. Gli anni di Franco Caccia, Aliotta, Mossini, Scoglio, Diodicibus, Ciccio Currò, Schillaci, Catalano, Zeman, Bellopede, Massimino, Buonocore, Torino, Zampagna, Obbedio, Godeas, Parisi, Storari, gli anni della scalata verso la serie A non torneranno più.
Il Celeste oggi è solo quel che era e per creare una cosa nuova occorrerà sudore, soldi, tempo. Tanto tempo. Infatti il progetto non è un maquillage, non è voler riesumare un vecchio abito dalla soffitta, quello di quando eravamo adolescenti, per indossarlo ancora. Non ci starebbe più. Si sentirebbe il tanfo della naftalina. Sembreremmo ridicoli agli occhi degli altri. Ed anche indossandolo non saremmo più quelli dei 20 anni. E non lo vogliamo più in fondo. Dobbiamo però tornare all’emozione antica, alla radice di quell’emozione e capire cosa è stata quella molla che ha fatto costruire quella Messina, quelle “farfalle nello stomaco” che ti danno la forza di cambiare il mondo.
Il presidente dell’AP De Simone mi ha invitato a guardare con lui quelle che sono le idee progettuali per il futuro della Fiera. Anche questa non è un’operazione nostalgia.
E’ altro. E’ partire da quell’album dei ricordi in bianco e nero per costruire qualcosa che farà parte dei ricordi di altri. A colori. Non è facile ma dobbiamo essere crudeli con noi stessi e guardare in faccia, senza paura, la realtà. Solo quando la guardi senza alibi, senza ipocrisie, senza scorciatoie, puoi ricominciare a sognare.
I momenti felici della nostra vita non sono solo quelli di ieri. Sono oggi. L’unico momento felice che val la pena di vivere è quello che sta per arrivare. Ma per farlo arrivare dobbiamo smettere di guardare nello specchietto retrovisore, anche con pizzico d’incoscienza.
Come scrive Nazim Hikmet
ll più bello dei mari
è quello che non navigammo.
Il più bello dei nostri figli
non è ancora cresciuto.
I più belli dei nostri giorni
non li abbiamo ancora vissuti.
E quello che vorrei dirti di più bello
non te l'ho ancora detto.
Magari oggi non lo sappiamo, ma la Messina più bella è quella che ancora dobbiamo costruire.
Rosaria Brancato