Esce il numero di Febbraio di Cosmopolitan. In copertina, il mezzobusto di una giovane donna che annaspa in cerca di aria, mentre la pellicola che avvolge la rivista sembra imprigionarla: un’immagine shock, legata alla vicenda di Shafilea Ahmed, la diciassettenne anglo-pakistana soffocata dal padre nel 2003, per essersi opposta ad un matrimonio combinato. Così la rivista testimonia il proprio impegno a favore di una causa ancora troppo attuale. La violenza sulle donne è uno dei mali del nostro tempo. Ma se è vero che le sue radici sono antiche come il mondo, perché questo tema ci appare oggi così indissolubilmente legato alla nostra epoca? Perché la drammaticità di questi episodi continua a chiedere spazio sulle copertine di libri e riviste di tutto il mondo? Probabilmente, perché fa rabbia che nel 2015, in un mondo altamente civilizzato, non si sia ancora riusciti ad estirpare dall’animo umano una simile bestialità.
Niente di cui stupirsi, dunque, se in occasione dell’annuale appuntamento dell’incontro con l’autore, cui la scorsa setimana hanno preso parte diverse scuole di Messina e provincia, la scelta sia ricaduta su Lucia Annibali, la giovane avvocatessa urbinate aggredita da due sconosciuti mentre rientrava in casa, il 16 Aprile scorso. Dopo la proclamazione della condanna a vent’anni per il mandante dell’aggressione (l’ex fidanzato, Luca Varani) e la lunga riabilitazione cui si è sottoposta per arginare i danni causati dall’acido gettatole addosso, la donna ha deciso di riprendere in mano la propria vita.
“Io ci sono – La mia storia di non amore”, scritto a quattro mani con la collaborazione della giornalista Giusi Fasano, è il libro nel quale la Annibali racconta la sua storia, quella di un amore carico di fiducia, cieco di fronte ai segnali di allarme, conclusosi tragicamente con un evento che però, per la donna, ha costituito un punto di svolta. “Ciò che mi è successo è terribile”, le sentiamo dire agli alunni dei licei Archimede e Don Bosco, “e non permetto a nessuno di sottovalutare il mio dolore. Però questo episodio, per quanto doloroso, mi ha fatto crescere e diventare una persona migliore.” Presenta il libro come il simbolo dell’impegno ad andare oltre la crisi, a superare i propri traumi e trasformarli in un’occasione per essere d’aiuto agli altri, a chi magari si trova in una situazione simile. Nei locali della libreria Feltrinelli Point, l’autrice ha risposto con disponibilità alle domande dei molti studenti colpiti dalla sua forza di volontà. Ha parlato della sua gratitudine, nei confronti dei medici che si sono occupati di lei nel periodo della riabilitazione, ma anche delle forze di polizia che hanno indagato sull’accaduto. “Con loro ho condiviso una vittoria”, afferma l’autrice, che però non cerca vendetta per i suoi assalitori. Sa che prima o poi dovranno fare i conti con ciò che hanno commesso e nonostante la paura non sia del tutto scomparsa, la donna oggi trova conforto nella preghiera. Dalle sue parole percepiamo i segni di un equilibrio conquistato con fatica, ma anche dell’orgoglio di avercela fatta, di non essersi arresa di fronte agli strascichi emotivi che episodi del genere possono provocare. Il libro racconta della paura nelle lunghe notti in ospedale, tormentate dal ricordo dell’aggressione, e della determinazione della donna a non lasciarsi sopraffare dall’angoscia. A chi le chiede cosa pensa oggi dell’amore, risponde che non vuole precludersi la possibilità di incontrarlo. “Un tempo pensavo che l’amore fosse un eterno rincorrersi, in cui la sofferenza fosse sintomo di autenticità. Se non si soffre non è vero amore, pensavo. Oggi ho raggiunto una consapevolezza nuova e non voglio negarmi la possibilità di innamorarmi di nuovo. Non voglio essere una persona che ha paura di vivere”. Questo libro, come commenta la giornalista Giusi Fasano, non vuole avere la pretesa di poter mettere fine alla violenza sulle donne, ma senza dubbio racchiude la speranza di fare riflettere, specialmente le giovani generazioni, su tematiche di rilevanza morale, gettando magari un seme di rispetto che possa maturare e contribuire a formare adulti responsabili.
L’incontro si è concluso con questo messaggio, rivolto dall’autrice alla platea: “Spero che chi legge il mio libro possa trovare ciò di cui ha bisogno. Ho voluto raccontare la mia storia così com’è avvenuta, perché possa essere uno stimolo di lotta per la sopravvivenza per chi si trova in difficoltà. Ma in realtà si rivolge anche a tutti gli altri, perché possano imparare a vivere il quotidiano confrontandosi col prossimo con gentilezza. La gentilezza reciproca, non solo ci rende delle persone migliori, ma è anche curativa”.
Insomma, un messaggio di speranza, ma anche un bell’imput di auto-miglioramento, che speriamo possa essere colto non soltanto dalle nuove generazioni, ma da tutti noi, con l’obiettivo di provare a costruire un futuro migliore.