C’ è un modo per “far diventare di moda la Sicilia”, ed è il ritorno ai territori, alle istanze del territorio. Ricominciare da lì dove le ferite sono più antiche e mai state curate. E’ questo il primo messaggio del nuovo libro di Luigi Sturniolo “Indipendenza” (collana saggi Nulla Die, edizione Nuovo Ateneo), nelle librerie da fine agosto.
Mentre il destino dell’Italia è deciso da un voto on line sulla piattaforma Rosseau, mentre l’urlo della Lega squarcia con il Regionalismo differenziato il Paese in due, c’è chi, come Sturniolo, ricorda che ogni idea di trasformazione sociale crea le proprie parole e che il lessico che cambia crea mutamenti profondi.
Per Sturniolo la parola “Indipendenza” è parola nuova, perché vista attraverso gli occhi della nostra società. Ma soprattutto è parola nuova perché è diversa da Autonomia, quella parola tradita in Sicilia sin dal giorno dello Statuto siciliano, che è persino di un anno più antico della Costituzione (è del maggio 1946). Statuto tradito da 73 anni di politici interessati solo al proprio tornaconto personale e che oggi si stracciano le vesti di fronte alle richieste delle Regioni del Nord.
“La Sicilia deve diventare di moda e chi è andato via scoprirà che cosa si è perso”, commenta l’ex consigliere comunale che affronta la questione del meridionalismo sia sul piano storico che sociale, portando a paragone anche altri casi analoghi (come le vicende dei Baschi, della Catalogna e spazia tra le lotte indipendentiste del passato fino ai Forconi passando per Canepa e San Francesco d’Assisi.
Punto di partenza una Sicilia divenuta come la periferia di Parigi, luogo di esclusione sociale e del consumo secondo logiche predatorie. “Non possiamo vivere di vittimismo o di rammarico di fronte a una realtà che è figlia e sorella del colonialismo”.
Il termine esatto è colonialismo e secondo lo scrittore la strada per cambiare passa dal territorio, da esperienze legate ai singoli territori, come avvenuto con i No Muos, no Inceneritore, con i Forconi. L’esperienza dei Comitati territoriali è secondo Sturniolo l’inizio di un movimento che diventa il vero partito.
“L’affermarsi della Questione settentrionale ha corrisposto all’eclissarsi della Questione meridionale. In Sicilia il mito dello Statuto tradito ha corrisposto al suo svuotamento e mentre le classi dirigenti locali, questo intreccio perverso di partiti, amministratori, dirigenti comunali, imprese legate alla finanza pubblica, sindacati, associazioni collaterali dei partiti, consumano quel che resta della cosa pubblica, si profila all’orizzonte l’autonomia differenziale che ci renderà ancora più poveri. Indipendenza è emancipazione dalla politica, quando questa è il mercato dei partiti, la corsa dei politici ad affermarsi per esistere dentro quel mondo separato nel quale tutti dicono la stessa cosa, ma nonostante questo urlano, si minacciano reciprocamente. In un gioco corrotto nei comportamenti viene messo in scena, ripetutamente, lo stesso spettacolo. Dentro quello spettacolo c’è sempre qualcuno che appare come il nuovo. Nello spettacolo successivo un altro. E poi un altro ancora”.
I territori sono dipendenti fintanto che non decidono, volontariamente, di non esserlo più, finché non inventano le parole e le istituzioni per non esserlo più, da qui l’uso di quella parola, “indipendenza” che affonda le radici nei Vespri siciliani e per Sturniolo in quel movimento, Antudo, nato dalla ribellione alle violenze dei soldati francesi sulle donne siciliane usate come “arma di sottomissione” .
Antudo, il cui nome affonda nella nostra storia di dolore e ribellione, si appresta quindi a diventare strumento d’indipendenza e partito.
Nei capitoli del libro ci sono capitoli dedicati al No Ponte alla querelle sul dissesto visto come strumento di attuale logica predatoria, e a quelle realtà di dipendenza che fingiamo di non vedere. Siamo colonizzati ormai nel Dna e non abbiamo la forza di ribellarci, neanche quando verso il Nord mandiamo risorse e figli, speranze e sogni.
“Non si vive nel vittimismo, nel rancore, nel rammarico. Possiamo fare diventare di moda la Sicilia. Possiamo inventarci un nuovo modo di vivere, qui, sui nostri territori”.
Rosaria Brancato