Sappiamo molto bene che le previsioni del tempo non possono andare oltre la soglia limite delle 72 ore. Solo in determinate circostanze, di piena stabilità atmosferica, come ad esempio in estate, quando l’anticiclone si posa sul Mediterraneo, si può andare oltre la soglia delle 72 ore. Eppure oggi, grazie ai tanti progressi fatti dalla meteorologia, e soprattutto alla sempre più corposa “letteratura scientifica” accumulata negli ultimi decenni, è possibile studiare e monitorare i vari indici climatici per capire, in anticipo, come si potrà comportare una stagione.
Stavolta non parleremo di una previsione, bensì di “tendenza”. Essa ci farà capire quale potrebbe essere il pattern atmosferico dominante sull’intero continente, in base alle anomalie di pressione e temperatura attese nel lungo termine. Da oggi, 1 giorno dell’inverno meteorologico, le attenzioni delle centinaia di meteo/appassionati si spostano sulle tendenze deterministiche più probabili in vista dell’ingresso della stagione fredda. Quello che sta per iniziare sembra essere un inverno decisamente più dinamico.
Quest’anno, a differenza degli ultimi due inverni precedenti, sull’intero comparto siberiano abbiamo registrato una notevolissima estensione del manto nevoso, già da fine ottobre e dal mese di novembre, che oltre a determinare un significativo raffreddamento dell’intera area euroasiatica, anticipando di qualche settimana il processo di “raffreddamento pellicolare” (raffreddamento dello strato d’aria prossimo al suolo), sta contribuendo a indebolire il vortice polare troposferico nelle prossime settimane.
La risposta atmosferica al notevole innevamento dei territori siberiani sta cominciando ad avere conseguenze sull’intera circolazione emisferica, dal Pacifico settentrionale fino all’Europa. Ciò spiega anche il raffreddamento dei territori del nord e dell’est Europa, o l’autunno insolitamente caldo registrato nel settore più orientale del continente nord Americano. In genere il significativo indebolimento della figura del vortice polare, legato anche alla rapida avanzata del manto nevoso e al successivo raffreddamento, si presenta in pieno inverno, con un picco fra la fine di dicembre e il mese di gennaio.
In questo caso, a causa dell’anticipato massiccio innevamento delle lande siberiane, il picco si dovrebbe verificare proprio nel mese di dicembre, con le avvezioni fredde che a ripetizione stanno colpendo la Russia europea e i paesi dell’Europa orientale, arrivando a sfiorare l’Italia e i Balcani nei giorni scorsi. Pertanto, una volta esauriti gli effetti del prematuro raffreddamento siberiano, bisognerà aspettarsi un tentativo di ricompattamento della struttura del vortice polare e l’attivazione di un flusso zonale più impetuoso (da ovest verso est) fra nord Pacifico, America settentrionale e Atlantico, proprio con l’arrivo del 2020, è quantomeno più che auspicabile, e non solo per ragioni puramente fisiologiche, dettate da un nuovo raffreddamento in sede artica.
Eppure ci sono diversi elementi che lasciano supporre come questo rinvigorimento del vortice polare possa risultare più blando e temporaneo del previsto. Difatti fra alta troposfera e bassa stratosfera continueranno a rimanere attivi dei flussi di calore (distensione lungo i meridiani dell’anticiclone delle Aleutine sul nord Pacifico e di quello azzorriano in Atlantico) che avranno le capacità di debilitare dall’esterno la circolazione depressionaria di aria gelida, d’estrazione artica, facente capo al vortice polare, favorendone un suo lento indebolimento.
Ciò aprirebbe verso prospettive decisamente più dinamiche nella seconda parte della stagione, con “scambi meridiani” più decisivi che potranno favorire l’avvento di diverse ondate di freddo tra Europa, Asia centro-settentrionale e nord America.