Questa mattina, la conferenza stampa alla caserma “Caravelli” della Guardia di finanza sull’operazione Inter nos. Blitz sfociato nelle 17 misure cautelari (24 complessivamente gli indagati) firmate dal giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Reggio Calabria Karin Catalano.
Per la Dda e la Procura reggina, c’erano il procuratore distrettuale Giovanni Bombardieri e il suo aggiunto Gerardo Dominijanni. Proprio Dominijanni ha coordinato le indagini insieme ai pm Walter Ignazitto (per la Direzione distrettuale antimafia), Giulia Scavello e Marika Mastrapasqua.
Quanto alla Guardia di finanza, erano presenti il comandante provinciale colonnello Maurizio Cintura e il colonnello Marco Marricchi comandante del Nucleo di polizia economico-finanziaria. E poi una “vecchia conoscenza” di Reggio come il direttore dello Scico (Servizio centrale Investigazione criminalità organizzata) ed ex comandante provinciale delle Fiamme gialle generale Alessandro Barbera e il suo vice, colonnello Agostino Brigante.
«Quest’indagine prende le mosse dallo scioglimento per mafia dell’Asp di Reggio Calabria e da varie segnalazioni tra le quali quelle dell’Anac, l’Autorità nazionale anticorruzione – ha fatto presente il procuratore distrettuale Giovanni Bombardieri ai cronisti –. L’inchiesta fotografa una situazione vecchia di molti anni, egregiamente condotta dai finanzieri del Gico e dello Scico, e riprende le risultanze di precedenti indagini come la “Maremonti” del 1996. Un’indagine in cui si dava conto di una sorta di “Cupola” che controllava gli interessi illegali nella pulizia degli ospedali».
Tanti i fronti d’illiceità, caratterizzati da un lato da reati squisitamente associativi – articolo 416 del Codice penale –, dall’altro da odiosi soprusi e abusi in termini amministrativi e sanitari. Nella ricostruzione del procuratore distrettuale reggino, accanto ai ripetuti episodi corruttivi c’erano le assegnazioni illegali d’appalti in materia di pulizia e sanificazioni (appunto). Ma anche irregolarità nelle vaccinazioni, come pure nell’accaparramento di dispositivi di protezione individuale, nelle prime fasi della propagazione del Covid (primavera dello scorso anno), «quando questi presìdi difficilmente si trovavano».
E a proposito di questo, orribile a dirsi, il «consorzio» lucrava anche sulle previste sanificazioni antiCovid, che invece nella realtà non venivano effettuate. «Questo era possibile grazie a un’assoluta mancanza di controlli: nei fatti, era l’impresa a riferire cos’era stato fatto o meno».
Tra gli episodi riferiti ai cronisti, dopo anni e anni di proroghe, l’inquinamento dell’unica gara d’appalto realmente effettuata: quella bandita nel 2013 e poi conclusasi solo tre anni dopo, nel 2016.
«La gara fu “ammansita” tramite meccanismi corruttivi in ragione dei quali l’organizzazione delinquenziale continuava a pagare funzionari della Pubblica amministrazione benché in pensione ormai da anni. Anche da pensionati – ha spiegato il procuratore distrettuale Giovanni Bombardieri –, mantenevano integro il loro potere di determinare le cose».
«Un ulteriore, gravissimo aspetto è quello emerso in relazione all’estorsione cui erano sottoposti i dipendenti operanti a Melito Porto Salvo. Gli imprenditori – ha spiegato il procuratore – li costringevano a restituire parte degli stipendi che venivano loro corrisposti. Ne emergono vicende tristissime. Lavoratori costretti a giustificarsi di non poter restituire parte delle somme perché, quel mese, erano stati costretti ad affrontare spese sanitarie o per delle feste per i figli…».
In più, in varie occasioni è venuto fuori dalle intercettazioni un dato molto grave “di scenario”. «Quando si prospettava ormai prossima l’adesione alla Consip da parte dell’Azienda sanitaria provinciale di Reggio Calabria – ha fatto presente il procuratore Bombardieri agli operatori dell’informazione –, alcuni degli associati vanno in fibrillazione. E tentano di rinviare qualcosa che non era possibile impedire. Addirittura, con “consigli” da parte di dipendenti pubblici alle aziende di fare ricorso, in modo da dilazionare i tempi per lo svolgimento delle nuove gare».
E non solo. Quando ci fu il rinnovo triennale per il responsabile Risorse finanziarie dell’Asp Giuseppe Corea, «si festeggiò con tanto di banchetto conviviale cui prese parte, fra gli altri, il consigliere regionale Nicola Paris. E il suggerimento ironico a Corea fu: tu firma tutto e… fregatene».
Dal canto suo, il procuratore aggiunto Gerardo Dominijanni è stato letteralmente impietoso. Non solo verso i detrattori, puntualizzando in modo molto nitido che «queste non sono indagini-spot, ma inchieste che durano anni». E che necessitano anche d’accertamenti assai minuziosi, per far emergere la verità, nella visione della Procura di Reggio Calabria.
In più, Dominijanni punta l’indice sulla stessa validità dei commissariamenti, da quello dell’Asp sciolta per infiltrazioni mafiose a quello governativo del capitolo-Sanità. «Fatto così, il commissariamento non serve a nulla – osserva il procuratore aggiunto di Reggio Calabria –. Non serve a nulla cambiare la governance, ad esempio in una specifica Azienda sanitaria provinciale, se poi non cambiano i funzionari».
Così l’organizzazione bypassava i commissari tramite il sistematico ricorso alle proroghe negli affidamenti. Che trovavano i commissari di turno inconsapevoli, ma «nella piena consapevolezza da parte di funzionari e dirigenti collusi» dell’Asp di Reggio Calabria. Questo meccanismo, di fatto, agevolava le ‘ndrine in maniera diretta.