Faccia a faccia con Antonio Ingroia, un magistrato “partigiano”

È stato un pomeriggio intenso e ricco di appuntamenti e di incontri davvero imperdibili quello che, Domenica scorsa, ha chiuso la II edizione del Salone del Libro di Messina. Per la sezione “Le mafie”, che nella precedente edizione ha visto protagonista il magistrato Nicola Gratteri, si sono infatti succeduti, in una “staffetta” senza sosta, Gianluigi Nuzzi, giornalista conduttore del programma d’inchiesta di La7 “Gli intoccabili” e autore del libro-inchiesta sulla 'ndrangheta nel Nord Italia "Metastasi", Pietro Grasso, procuratore nazionale antimafia e Antonio Ingroia, procuratore aggiunto alla procura distrettuale antimafia di Palermo. Così come al dott. Grasso (http://www.tempostretto.it/news/intervista-pietro-grasso-messina-repressione-non-basta-serve-antimafia-speranza.html), Tempostretto.it ha avuto la possibilità di fare qualche domanda anche ad Antonio Ingroia.

♦ Leggiamo insieme uno stralcio di un articolo…

PALERMO – Per un anno sono rimasti in silenzio. Dalla vigilia dell'anniversario delle stragi di Capaci e di via D'Amelio, quattro colleghi di Giovanni Falcone, Francesca Morvillo e Paolo Borsellino, rompono il silenzio. I quattro magistrati, Antonino Ingroia, il "pupillo" di Paolo Borsellino, Giacchino Natoli, Roberto Scarpinato e Guido Lo Forte, descrivono il clima di rinnovata unità all' interno di quello che un tempo fu definito il "palazzo dei veleni" ed indicano la strategia d' attacco contro Cosa Nostra elaborata ed attuata in questi ultimi dodici mesi. Le indagini fin qui svolte hanno consentito di individuare una "zona grigia di collusioni con uomini delle istituzioni", affermano i quattro magistrati. Dalle due stragi è trascorso solo un anno "ma sembra trascorso un secolo e questo dimostra che si sono persi decenni". (da La Repubblica— 21 maggio 1993 — pagina 7)

Cosa è cambiato da allora?

«Quello è stato il punto di partenza e contemporaneamente di svolta, perché dalla stagione delle stragi è nata una stagione di riscatto e di impegno che, sul piano giudiziario, si è tradotta nella possibilità di fare un salto di qualità aggredendo anche il livello dei piani alti delle collusioni mafiose e della contiguità mafiosa. A quel tempo erano appena iniziate le indagini nei confronti delle collusioni interne degli apparati di sicurezza, mi riferisco all’indagine sul dott. Contrada che, all’epoca, era al vertice dei servizi segreti; erano appena iniziate le indagini su Andreotti, su Mannino, inizieranno poco più di un anno dopo le indagini su Dell’Utri. Una stagione, insomma, che è andata molto avanti, certamente non senza difficoltà, battute d’arresto, forti resistenze e che ha cercato di alzare il velo sulla complicità dentro il sistema economico e politico siciliano e nazionale rispetto alla mafia».

♦ Molte famiglie stentano a trovare giustizia e a vedersi riconosciuti lo status di vittime di mafia. Si veda il caso Manca, il caso Parmaliana e il caso Aloisi. Cosa pensare di una magistratura che sembrerebbe andare contro i suoi stessi principi?

«Non posso ovviamente pronunciarmi, nello specifico, su casi giudiziari che non conosco, sarebbe poco serio da parte mia esprimere giudizi drastici senza conoscere i singoli casi. Posso dire che, in generale, senza fare riferimenti a questi fatti specifici, la magistratura non è il paradiso terrestre. È chiaro che la magistratura è stata la magistratura di Falcone e di Borsellino ma è stata anche la magistratura degli avversari di Falcone e di Borsellino. Non è che improvvisamente la magistratura sia diventata luogo e sede soltanto di virtù e non anche di vizi. La magistratura, secondo me, negli ultimi decenni, ha attraversato un’importante processo riformatore per cui talune posizioni, come quelle di Falcone e Borsellino, un tempo erano minoranza, adesso costituiscono maggioranza, hanno più forza. Gli allievi di Falcone e Borsellino sono decisamente più numerosi degli avversari di Falcone e Borsellino, ma gli avversari di Falcone e Borsellino e i loro allievi non sono spariti dalla magistratura».

♦ Lei ha scatenato molte polemiche quando, nell’ottobre del 2011, partecipò al Congresso del PDCI, e dichiarò: «Un magistrato deve essere imparziale quando esercita le sue funzioni ma io confesso che non mi sento del tutto imparziale. Anzi, mi sento partigiano, sono un partigiano della Costituzione. […] Fra chi difende la Costituzione e chi quotidianamente cerca di violarla, violentarla, stravolgerla – aveva continuato – so da che parte stare». Vuole spiegarci cosa voleva intendere?

«Volevo dire che a volte ci sono un po’ di confusione, luoghi comuni e una certa ipocrisia di fondo. Nel senso che credo ovviamente che ogni magistrato deve essere, e deve anche apparire, imparziale rispetto alle parti dei suoi processi, cioè rispetto agli imputati, e rispetto a chi incrocia durante il suo percorso professionale. Dopodiché, però, un conto è l’imparzialità nell’esercizio delle sue funzioni rispetto agli imputati e agli indagati e un conto è la neutralità rispetto ai valori. Non ci deve essere nessuna neutralità rispetto ai valori, perché ci sono dei valori di fondo, che sono i valori della Carta Costituzionale, sui quali noi magistrati abbiamo giurato e quando percepiamo che vi sono, ad esempio, progetti o disegni di legge che intendono ufficialmente riformare la giustizia ma che, di fatto, sono antitetici e in conflitto rispetto ai valori costituzionali, un magistrato ha non solo il diritto, ma, io dico, persino il dovere di schierarsi dalla parte della Costituzione e criticare, anche aspramente, le posizioni che sono in conflitto con essa. Quindi, in questo senso, ho voluto -se vogliamo in modo forte, anche un po’ provocatorio, ma intenzionalmente provocatorio- sottolineare come invece bisogna recuperare il senso dell’essere parte e dalla parte della Costituzione».

♦ Sui recenti sviluppi delle indagini dell’operato della ‘ndrangheta al Nord. Si è scoperto l’acqua calda?

«Beh, sì. Finalmente se ne sono accorti e anche in tanti, ben venga anche questo ritardo. Eppure credo che ancora non ci sia una sufficiente consapevolezza: ci si è accorti che la mafia è arrivata anche al nord ma non ci si è resi conto di quanto sia alto il livello di amalgamazione fra economia criminale e economia legale. C’è una forte capacità di mimetizzazione. O si corre ai ripari in tempi brevi oppure il livello di compenetrazione sarà tale che diverrà inscindibile il legame fra le due cose».

♦ Magistratura italiana: quali sono, a suo avviso, gli strumenti che mancano?

«Beh, diciamo che, se, come si è detto prima, uno degli snodi fondamentali è colpire non soltanto la struttura militare, ma tutte le collusioni con il mondo della politica e con il mondo dell’economia, credo che è proprio su questo fronte che ci sono le maggiori lacune su cui bisogna fare molti passi avanti. La pratica antimafia italiana è sempre stata ed è tutt’ora indirizzata soprattutto contro il livello militare della mafia contro cui gli strumenti di cui disponiamo sono senza dubbio sufficienti, non lo sono invece di certo per contrastare la mafia finanziaria e la collusione mafia-politica…»

♦ Cosa si sente di dire a chi decide oggi di iscriversi a legge e tentare il concorso in magistratura?

«Che quella del magistrato è una delle professioni più entusiasmanti, perché, pur tra le mille difficoltà, pur nella consapevolezza di andare contro corrente, pur anche tra i mille rischi soprattutto per chi è impegnato nelle cosiddette terre di mafia, riuscire ad affermare principi base, che credo siano non solo nella nostra Costituzione ma nel dna di chi ha cuore il valore della giustizia e dare il proprio contributo per rendere l’Italia più giusta, più vicino alla cultura della legalità è veramente qualcosa di entusiasmante».

(CLAUDIO STAITI)

►Antonio Ingroia (Palermo, 31 marzo 1959), magistrato, fin dagli inizi della sua carriera nel 1987 ha lavorato al fianco dei suoi maestri, Paolo Borsellino e Giovanni Falcone. Ha iniziato la sua attività di pubblico ministero come sostituto procuratore a Marsala quando l’ufficio di Procura era diretto da Paolo Borsellino. Dall’aprile 1992 fino ai primi mesi è stato sostituto procuratore antimafia a Palermo, assieme a Paolo Borsellino, allora procuratore aggiunto a Palermo, fino alla terribile stagione stragista della primavera-estate di quell’anno, quando proprio Falcone e Borsellino vennero trucidati dalla mafia. In questi anni si è occupato di famosi casi giudiziari per fatti di mafia, dal sequestro De Mauro all’omicidio Rostagno, all’indagine sulla “trattativa Stato-mafia”. E’ stato pubblico ministero in alcuni noti processi per collusione mafiosa, come i processi Dell’Utri e Contrada. E’ stato componente della commissione ministeriale per il testo unico della legislazione antimafia. E’ stato nominato consulente della commissione parlamentare antimafia. Nel 2009 è stato nominato procuratore aggiunto della procura distrettuale antimafia di Palermo e quindi ricopre l’incarico che ebbero gli stessi Falcone e Borsellino. Ha partecipato quale relatore a numerosi convegni, in Italia ed all’estero, aventi ad oggetto la lotta alla criminalità organizzata. Ha tenuto lezioni di diritto penale e procedura penale in varie università italiane e all’estero. Ha tenuto corsi universitari di informatica giuridica alla Link Campus University di Malta – sede di Roma. Ha pubblicato vari libri, saggi ed articoli, fra cui “L’associazione di tipo mafioso” (1993), “L’eredità scomoda” (2001, coautore Gian Carlo Caselli), “C’era una volta l’intercettazione” (2009) e “Nel labirinto degli dèi – Storie di mafia e antimafia” (2010).

(FOTO STURIALE)