Ivano Marescotti è uno dei volti più noti del cinema italiano, un caratterista di valore assoluto, al quale spesso sono stati affidati personaggi di primo piano (e in questi giorni appare anche in tv, nel ruolo del costruttore “cattivo” di “Un medico in famiglia”): è lui il protagonista de “La fondazione”, in scena nella Sala Laudamo sino al 17 marzo per il cartellone “Paradosso sull’Autore”, curato da Dario Tomasello. Si tratta di un monologo firmato da Raffaello Baldini, il famoso poeta di Sant’Arcangelo di Romagna, scomparso nel 2005. Regia di Valerio Binasco, scene di Carlo De Marino, musiche di Arturo Annecchino. Produzione: Nuova Scena – Arena del Sole Teatro Stabile di Bologna.
Raffaello Baldini ha fatto in tutto quattro testi teatrali. In ciascuno di questi rappresenta un tic diverso che ognuno di noi ha. Lo inquadra e ne fa il problema principale. E il protagonista de “La Fondazione” nella sua vita non riesce a buttar via nulla, tiene da conto tutto ciò che ha usato: dalle cartine delle arance alla scatola degli stuzzicadenti. È la storia di una mania che, a sentire gli psicologi, si sta diffondendo sempre di più in questi ultimi anni. Il protagonista tiene da conto tutto. La moglie lo ha mollato ma lui preferisce vivere tra la sua roba. Perché? Perché quella “roba” non rappresenta la sua vita, quella roba “è” la sua vita stessa. E quando quella “spazzatura” verrà buttata, anche lui seguirà la stessa sorte.
Leggendo un po’ la trama del monologo, viene in mente il parallelismo con Mazzarò, il protagonista della novella “La Roba” di Verga che quando sta per morire urla “Roba mia, vientene con me!”…
Lui non vuole andarsene con la roba, lui non vuole proprio andarsene. Perché pensa che tutto ciò che per lui ha un senso, per gli altri è solo immondizia. Per questo vuole fare una fondazione che si prenda cura di tutti gli oggetti. Molti di coloro che vengono a vedere lo spettacolo, un po’ si riconoscono nel personaggio, o vi intravedono la figura di un parente o di un amico. Per quanti di noi risulta difficile buttare via qualcosa, al quale si è affezionati non per il suo valore commerciale ma per la proiezione che ha quella cosa nella nostra identità? Remo Bodei, nel suo libro “L’anima delle cose” ha scritto che ciò che ci circonda si può dividere in tre categorie: le “merci”, che hanno solo valore di scambio, gli “oggetti”, che non hanno alcuna identità, e le “cose” che prima sono merci, poi oggetti e infine diventano “roba” quando vengono usate. Si può fare la storia della società attraverso gli oggetti che ci sono stati lasciati, e, nel caso dello spettacolo, il protagonista crede che si possa perpetuare l’esistenza conservando tutto ciò che lui ha usato.
Il protagonista parla in italiano ma pensa in romagnolo. Non trova che il dialetto romagnolo, a differenza del siciliano o del romanesco, sia un po’ messo da parte?
Sì, è vero. Il dialetto romagnolo prima di questi ultimi decenni non era mai assurto a valore artistico e letterario da tutti conosciuto e, prima di grandi poeti come Tonino Guerra o Raffaello Baldini, non aveva avuto nemmeno teatralmente una sua tradizione. Adesso possiamo competere sul piano artistico con il napoletano di De Filippo o con il veneto di Goldoni. Nel caso di Baldini, ad esempio, la critica con Pier Vincenzo Mengaldo, ha riconosciuto in lui uno dei più grandi poeti italiani degli ultimi anni…
Lei ha un viso molto simpatico, eppure nella maggior parte delle sue apparizioni televisive (pensiamo a “Raccontami”, “I Liceali” o “Un Medico in Famiglia 8”) o cinematografiche prende i panni del cattivo, del sadico o del guastafeste. Come se lo spiega?
Mah, io sono anche contento (ride). Perché, in fondo, nessuna storia può esistere se non c’è il cattivo. Il cattivo fa lievitare il racconto, crea un impedimento senza il quale altrimenti tutto sarebbe troppo scontato. E poi, se ci pensiamo, anche tutte le favole hanno un antagonista…
Lei ha lavorato con grandi artisti, passando da Roberto Benigni a Checco Zalone, attraverso diversi film americani. Con chi si è trovato meglio?
Mi sono trovato bene con tutti. Gli americani sono gente come noi, ricchi di personalità e carattere. Sia Benigni e Zalone, per riprendere i nomi che avete citato, sono persone che giocano con il loro carattere. Fanno i personaggi di se stessi, ma sono persone serissime, di grande cultura. Dentro di loro c’è anche la componente giocosa o semiseria, ma è solo una parte del loro essere che viene fuori espressamente quando si è in scena.
Uno dei suoi motti, da figlio di partigiano, è “Ora e sempre Resistenza”. Quanto la società di oggi ha imparato dall’esperienza partigiana?
Sono del parere che finché era in vita e attiva la generazione partigiana o comunque quella che si ispirava ai valori della resistenza, la politica era concepita in un certo modo. C’erano partigiani democristiani, partigiani liberali, partigiani comunisti, ma c’erano dei valori comuni che nessuno avrebbe osato mettere in discussione. Dagli anni ’90 ad oggi, con la morte dei veri partigiani o con la loro scomparsa dalla vita pubblica, la politica è andata degenerandosi…
Cosa direbbe al suo corregionale Bersani (che però è emiliano) uno come lei che si è iscritto sin da giovane al PCI e poi al PD dal quale però è uscito alcuni anni fa…?
Il PD doveva vincere, era scritto da tutte la parti. Ma è stato l’unico partito che ha perso pur arrivando primo. La posizione di Bersani al momento mi sembra però l’unica condivisibile: lui insiste nel cercare un rapporto con il Movimento 5 Stelle perché ci sono alcuni punti programmatici in comune. La maggioranza del PD invece mi sembra pensi a trovare un accordo con Monti e con Berlusconi. Bersani dice: “Mai con Berlusconi”, ma dovrebbe dire “Mai più con Berlusconi”, perché l’ultimo anno e mezzo l’hanno gestito insieme…
L’aspetto “metaforico” di Bersani (del tipo “smacchieremo il giaguaro”), così bene parodiato da Maurizio Crozza, è una componente che lei ritrova dalle sue parti?
No, credo che sia una cosa tipicamente “bersaniana”. Consigliato da qualcuno ha pensato di approfittare di quella imitazione. Le metafore di questo tipo io le ho sentite più a Roma per la verità….
La differenza tra un emiliano e un romagnolo è davvero così netta?
Si è diversi come sono diversi un catanese e un messinese. Quando noi sentiamo parlare un siciliano, che sia di Messina o di Catania, non avvertiamo alcuna differenza. Da noi le differenze ci sono ogni 5 chilometri, si capisce subito da dove vieni. Se gli emiliani sono da sempre avanti nella musica, da Verdi a Vasco Rossi, passando per Ligabue, noi romagnoli siamo storicamente avanti nelle poesia…
(CLAUDIO STAITI)
Ivano Marescotti (Bagnacavallo, 4 Febbraio 1946) è un attore italiano. Lavora per dieci anni all'ufficio edilizia della Provincia di Ravenna. Progetta di prendere una laurea, prima in architettura a Venezia, poi al DAMS di Bologna. Nel 1981 prende la decisione definitiva: si licenzia ed intraprende l'attività teatrale. Lavora fra gli altri con Mario Martone, Carlo Cecchi, Giampiero Solari, Giorgio Albertazzi. L'esordio al cinema è datato 1989, con una piccola parte ne La cintura, mediocre risposta italiana a 9 settimane e ½. Nello stesso anno l'incontro con Silvio Soldini e la partecipazione al film L'aria serena dell'ovest lo convince a dedicarsi prevalentemente al cinema. Interpreta oltre cinquanta film, lavorando con registi di indiscussa importanza, tra i quali i premi Oscar Anthony Minghella e Ridley Scott, Marco Risi, Roberto Benigni (Johnny Stecchino e Il mostro), Pupi Avati, Sandro Baldoni, Maurizio Nichetti, Carlo Mazzacurati, Antonello Grimaldi, Klaus Maria Brandauer, Antoine Fuqua. L'attività cinematografica gli frutta 6 nomination al Nastro d'Argento, che vince nel 2004 per l'interpretazione nel cortometraggio Assicurazione sulla vita di Tommaso Cariboni e Augusto Modigliani.
Dal 1993 inizia un approfondito lavoro di recupero del suo dialetto romagnolo, tornando in teatro con i testi di Raffaello Baldini, per poi rileggere e riscrivere alla sua maniera grandi come Dante (Dante, un patàca ispirato alla Divina Commedia) e Ariosto (Bagnacavàl, una contaminazione tra il basso dialetto romagnolo e l'Orlando Furioso). Dal 2002 il Comune di Conselice gli assegna in gestione la programmazione del Teatro Comunale dove, oltre a gestire un cartellone teatrale nazionale, progetta e produce i suoi spettacoli. Nel 2004 costituisce la Patàka S.r.l. con la quale gestisce le proprie proposte culturali. Nel 2004 interpreta la parte del vescovo Germano in King Arthur con Clive Owen e Keira Knightley.
Nel 2006 è nel cast della fiction della RAI Raccontami, dove interpreta il ruolo di un costruttore edile, Livio Sartori, che interpreterà anche nel secondo capitolo. Nel 2008 partecipa alla fiction I liceali per Mediaset nella parte del prof. Gualtiero Cavicchioli. Nel 2009 partecipa al film Cado dalle nubi, nel quale ricopre il ruolo di un leghista padre della ragazza che ha una relazione con Checco Zalone, il quale interpreta invece un meridionale trasferitosi al nord. Recita nuovamente con Checco Zalone nel film Che bella giornata, uscito nel 2011, interpretando la parte di un colonnello dei Carabinieri.