L’occasione di incontrare Valerio Massimo Manfredi, archeologo, scrittore e conduttore televisivo di chiara fama, ce l’ha data la Libreria Mondadori di Messina che, giovedì 29 Novembre, ha organizzato presso il punto vendita di Via Garibaldi, un firma copie con la presenza dell’autore. Occasione perfetta per scambiare qualche parola con lo scrittore che ha presentato il suo nuovo e attesissimo romanzo “Il mio nome è nessuno – Il giuramento” (Mondadori, 2012), il primo di due volumi che narra della nascita e della vita dell'eroe fino alla fine della guerra di Troia. L'autore, il giorno dopo, ha tenuto, presso il Teatro “Annibale Maria di Francia” una Lectio Magistralis riguardo l’epica figura di Odisseo.
Lei si è laureato in lettere classiche ed ha una specializzazione in Topografia del Mondo Antico e infatti, nei suoi libri, stupisce sempre l’estrema precisione di luoghi e territori…
Sì, la topografia è una scienza specifica che ha il compito di configurare l’aspetto del territorio in una determinata epoca. È fondamentale che i fatti siano ambientati nel loro ambiente fisico, si comprendono molto meglio…
Messina territorio di fondazione greca. In quali proporzioni è ancora vivo il legame con la “madre patria” Grecia?
Non c’è più. Noi abbiamo ereditato quella cultura, che era stata assimilata dai Romani nelle aree di confine e tramite questo passaggio, è vero, abbiamo ereditato qualcosa, ma la Messina di oggi non può dire di avere più alcun legame con la Magna Grecia, forse ha preso qualcosa dalla cultura greca di ritorno, quella bizantina. Trovare un filo rosso che ci collega sia culturalmente che geneticamente mi sembra troppo ambizioso.
La crisi economica ha isolato la Grecia e l’ha resa necessariamente subalterna alle decisioni della Comunità Europea. Chi ne difende il valore, cita sempre il ruolo che essa ha avuto nella formazione culturale e politica dell’Occidente fino a fare dei Greci i nostri veri e propri “avi”. Che pensa a proposito?
I greci antichi sono estinti. I greci moderni sono dei balcanici che, nel V-VI secolo, sono scesi ad occupare quei territori. Anch’essi hanno recepito però cultura e storia dei greci antichi. L’idea però che io che sono italiano abbia dei geni della popolazione per esempio etrusca che ha colonizzato l’Emilia dal IX al IV secolo, è suggestiva, mi dà un senso di orgoglio poter quasi affermare “questi sono i miei nonni”. Ci sono studi di genetica molto avanzati che identificano tre grandi famiglie di popoli che ancora sono distinguibili cioè i Celto-Liguri al nord, gli Appenninici al centro e poi i Siculo-Sicani al sud. Sono operazioni interessanti ma non so fino a che punto riscontrabili…
Il suo ultimo romanzo ha come protagonista la figura dell’astuto Odisseo, l'eroe più formidabile e moderno di tutti i tempi. Cosa l’ha affascinata di questo personaggio?
Non ha affascinato solo me, ha affascinato tutti. È il personaggio più riciclato, più famoso e di maggior successo della letteratura universale. Da Omero a Joyce, attraverso i tragici del V secolo, Licòfrone di Alessandria, Virgilio, Dante Alighieri, Costantino Kavafis. Perché questo personaggio è, in fondo, l’ipostasi dell’intera umanità: in lui c’è la curiosità inestinguibile, la capacità di destreggiarsi nelle situazioni più pericolose, più difficili e, allo stesso tempo, lui è l’avventuriero che ha mille avventure con donne diverse, lo sciamano che evoca le ombre dall’aldilà. È un personaggio strepitoso, riuscito particolarmente bene al suo autore. E l’umanità si riconosce in questo personaggio. Quello che ho fatto è stato, per la prima volta, il racconto dell’intero corpus di tutta l’avventura dell’eroe Ulisse: dalla nascita fino all’ultimo viaggio che parte dalla profezia di Tiresia dell’XI libro dell’Odissea. Nella prima parte della profezia, Tiresia gli predice il ritorno, l’incontro con Penelope e Telemaco e la strage dei pretendenti, la seconda parte va oltre: lui dovrà ripartire, con un remo sulla spalla, e questa volta sarà un’Odissea continentale e andrà tanto lontano, arrivando in luoghi in cui nessuna nave è mai giunta, dovrà compiere un sacrificio a Poseidone e chiudere così i conti con le divinità. Quest’ultima invenzione mitica non ha poi mai avuto corpo in un poema, è uno dei grandi misteri della letteratura universale.
Lei ha citato Dante. La cultura medievale non può accettare l’affronto che Ulisse compie nei confronti delle leggi divine. Eppure il poeta, nella Commedia, sembra, pur nella condanna, comprenderne le ragioni. La cultura di oggi salverebbe un Ulisse o lo relegherebbe come colpevole di tracotanza?
Io penso che la società di oggi sia tracotante ma essenzialmente stupida. Ulisse non è tracotante, il suo è coraggio, il coraggio dell’esploratore, del trasvolatore, dell’uomo curioso che non si ferma mai, che va sempre oltre l’orizzonte, solo il pugno di Dio lo ferma. Nell’Odissea, però, lui sfida anche gli dei: anche se subisce ogni sorta di disgrazia lui, caparbiamente, continua ad andare avanti. Parte con dodici navi ma, alla fine, arriva a cavalcioni di un tronco d’albero: è una cosa meravigliosa. Nella nostra società c’è questo culto di essere “over the limits”, per raggiungere a tutti costi un record, ma ciò è tutto indirizzato al raggiungimento della notorietà. Mentre Ulisse dice: «Io sono nessuno». Si camuffa, è camaleontico. E poi lui prova ogni tipo di esperienza, è l’uomo dal pensiero multiforme, è l’incarnazione di tutta l’umanità. E nessuna delle sue azioni è inutile come invece lo può essere buttarsi con un corda a testa in giù.
Lei è noto al grande pubblico anche per alcuni programmi televisivi che hanno portato la storia antica in prima e seconda serata. Ha dovuto cambiare qualcosa nell’approcciarsi al pubblico del piccolo schermo?
No, c’è solo un linguaggio diverso. I programmi che ho fatto li ho fatti in una rete, La7, che è d’élite e la nostra trasmissione era ancora più d’élite perché non parliamo di “bubbole”. Abbiamo cercato di offrire un prodotto molto ben leggibile, chiaro, che abbia un appeal, ma comunque serio, autentico e documentato. Abbiamo girato due speciali: uno a Troia per l’Iliade e uno ad Itaca per l’Odissea e sono andati entrambi benissimo…
Ci dà un parere sugli studi classici, da qualcuno, di questi tempi, bistrattati?
Il professor Monti viene dal liceo classico e mi sembra abbia fatto una bella carriera. Il liceo classico è una base formidabile, poi sta a ciascuno selezionare gli itinerari che sembrano più adatti. Al giorno d’oggi bisogna muoversi, e lo dico ai più giovani. Io appartengo ad una generazione che ha avuto una fortuna pazzesca: al terzo anno di università mi chiamò il Preside di una scuola media di Maranello per offrirmi una cattedra di Lettere. Oggi è un sogno una cosa così, è impossibile. Per noi era la norma. Era un’Italia rampante, e, nel corso degli anni, il paese si è abbastanza seduto. Le forze politiche e sindacali hanno preferito ingessare tutto e rimandare i conti al più tardi possibile. I giovani d’oggi devono abituarsi a tutto. Quand’ero piccolo, mio padre mi mandava in campagna, tutto il pomeriggio, a lavorare. Solo dopo potevo mettermi sui libri a studiare. La generazione che sta crescendo oggi è una generazione viziata, pane burro e marmellata, che quando verrà buttata nell’arena, con i leoni, avrà molte difficoltà. Alessandro Magno, a sedici anni, ha ammazzato il suo primo leone; oggi al ragazzo di sedici anni la mamma corre dietro con la banana. Bisogna muoversi. Non c’è il lavoro? Te lo costruisci, te lo immagini. E gli studi classici sono una cosa molto importante, nel senso che sono le radici della nostra civiltà, ma non si può, necessariamente, pretendere che siano anche un posto di lavoro. Lo possono essere, ma sono poche le possibilità. In ogni caso, questo tipo di studio, è, e sarà sempre e comunque, preziosissimo, avendoti impostato il “software” giusto. Un liceo classico ti mette il programma operativo dentro il cervello, se lo fai bene e se hai bravi professori. (CLAUDIO STAITI)