E così oggi ci ritroviamo a sottolineare con l’evidenziatore una data, l’8 marzo, che ora più che mai deve essere il giro di boa, deve portarci a riprendere in mano l’ascia di guerra per riprenderci le conquiste acquisite e sfumate in un anno e mobilitarci per le altre. Già, perché le conseguenze della pandemia e del lockdown le hanno pagate soprattutto le donne.
La crisi ci ha fatto fare un balzo indietro nel tempo rispetto a traguardi acquisiti su diritti, battaglie, risultati. Un balzo indietro a livello mondiale è vero, ma ancora più allarmante a livello italiano. Figuriamoci a Messina che è periferia dell’impero. Basta guardare i dati nazionali. Il 70% di chi ha perso il lavoro è donna. Le imprenditrici che hanno gettato la spugna sono il doppio rispetto agli uomini, per non parlare del calo nelle iscrizioni delle nuove imprese. Dati che vanno ad aggiungersi ad altre povertà meno visibili.
Ad esempio sono le donne che hanno dovuto rinunciare al lavoro per “rientrare” tra le mura domestiche per prendersi cura dei componenti più fragili o dei figli in Dad. Sono le donne che in percentuale più alta sono state in smart working o hanno subito taglia gli stipendi. E ancora, i settori più colpiti dalla crisi e dalle chiusure sono quelli a prevalente presenza di donne alla guida. Per non parlare dell’aumento della violenza tra le pareti domestiche ( e delle omesse denunce). E l’elenco potrebbe continuare. La pandemia è caduta come una scure proprio mentre invece in Italia si stava registrando una crescita in tale senso e le start up, le PMI femminili ed in genere l’occupazione femminile era in crescita.
C’’è un altro dato ed è il contesto. L’Italia è il Paese nel quale è il punteggio del Gender Equalitiy index 2020 ci vede al 14esimo posto in Europa…… Lo stesso Draghi nel suo primo intervento al Senato ha evidenziato come il gap di genere soprattutto sul fronte dei salari sia allarmante. Così un anno dopo l’inizio del lockdown sono le donne che pagano i costi che un Paese immaturo non riesce ad ammortizzare.
Ma invece di piangerci addosso l’8 marzo, oggi più che mai, ci deve vedere più motivate. Le Linee Guida del Recovery Fund, del Next Generation Ue individuano paletti che nessun Paese può permettersi di ignorare: transizione verde, innovazione e il superamento dell’impatto economico della crisi sulle donne. In poche parole parità di genere. Insomma l’Europa non può avviare la ricostruzione se ci sono Paesi a doppia velocità (come l’Italia). E’ davvero venuto il momento di riprendere l’ascia di guerra e tornare a batterci per azzerare il gender pay gap, le ridicole barriere culturali che giustamente sempre Draghi ha definito “applicazioni farisaiche delle quote rosa” e sempre Draghi ha insistito sul gap nella formazione.
La parità di genere non è una questione di numero di asili nido, come ha fatto notare questa mattina Christine Lagarde (presidente della Banca centrale Europea) sul Corriere della Sera. E’ un fatto culturale. “. Le crisi esistenziali sconvolgono il nostro modo di vivere quotidiano e ci spingono a rifondare alcuni dei nostri valori. La pandemia non ha soltanto alzato il velo sulle gravi carenze della nostra società, ci ha anche costretto ad agire in modo diverso. Ed è proprio qui che vedo la possibilità di un cambiamento per il meglio. Per questo oggi, Giornata internazionale della donna, invito tutti, donne e uomini, a rompere insieme gli schemi e abbracciarne di nuovi, più consoni alle necessità del presente”.
“La pandemia ha messo chiaramente in luce lo squilibrio fra uomini e donne in termini di lavoro non retribuito- prosegue Lagarde– Ma ci ha anche dimostrato che i nostri compagni possono farsene carico. In alcuni casi i padri, impegnati a lavorare da casa o costretti a un orario di lavoro ridotto, hanno preso in mano le redini della famiglia, mentre le madri svolgevano mansioni essenziali al di fuori delle mura domestiche. Una simile rottura dei canoni, se durerà, potrà portare alle donne la libertà di realizzarsi altrove, sul lavoro o nella comunità. Una maggiore partecipazione delle donne al mondo del lavoro, con adeguati servizi per l’assistenza all’infanzia e un’organizzazione flessibile dell’orario di lavoro a favore di donne e uomini, permetterebbe di compiere un grande passo avanti nel colmare il divario retributivo di genere. Nell’UE le donne guadagnano in media all’ora il 14,1% in meno degli uomini. Se i compiti domestici sono ripartiti in modo più equo all’interno della famiglia, i figli crescono con un’idea dei ruoli più paritaria rispetto alle generazioni precedenti”.
Un fatto è chiaro: ci sono miliardi di euro che l’Europa darà all’Italia se rispetterà alcuni paletti. C’è un dato oggettivo, ovvero la necessità di ricostruire. Non possiamo arrenderci e torniare indietro. Ora è il momento dell’ultimo miglio per arrivare a riequilibrare gli squilibri. Se non ora quando?