La crisi dopo la fiducia zoppa concessa dal Senato al Conte bis, oltre a fare esplodere tutte le tensioni relative al Recovery found per assicurarsi gli aiuti europei dipendenti, com’è tornata a ribadire la presidente Von der Layen ancora giovedì scorso, dalla stabilità e da tempi sempre più limitati, ormai forse addirittura proibitivi, esaspera l’equivoco su cui era nato il governo; quella necessità tutta pratica dei grillini di non farsi fagocitare dal salvinismo allora imperante e dall’urgenza del Pd di rientrare in un gioco che lo vedeva irrimediabilmente escluso, rivendicando il suo ruolo di garante nobile di una normalizzazione europeista dell’Italia che l’avrebbe di nuovo rimessa dentro le dinamiche e le politiche dell’Unione dominate dal duopolio franco-tedesco.
Una combinazione su cui si era incuneato l’opportunismo renziano, tornato a palesarsi oltre ogni ragionevole dubbio nel corso della crisi in corso. Mancava, e manca ancora, qualsiasi prospettiva politica alta, al di là dei proclami dei Cinquestelle, quei veli di diversa verginità che il movimento ha via via abbandonato per strada fino presentarsi ormai nudo e disponibile ad accoppiamenti, un tempo ritenuti incestuosi, che avrebbero fatto inorridire la sua base, ma a questo punto ineludibili per garantire uno scenario politico che preservi, con la sopravvivenza, pure le “revenues” di portavoce del popolo ormai sovrarapresentati in parlamento.
Resta il dramma di una politica e di un paese incapace di dare il colpo di coda dirimente; un paese già debole che nei momenti in cui occorrerebbe ben altra coesione e forza, confessa a se stesso e mostra al mondo la sua fragilità, la sua litigiosità, l’assenza di un autentico spirito comunitario e nazionale mentre le varianti del virus e l’assottigliarsi delle dosi di vaccino disponibili rendono ancora più caotica e incerta la situazione sul fronte sanitario. Da un lato un governo debole, sempre più dipendente da pezzi raccogliticci qua e là, con gruppi crepati al loro interno; dall’altro un’alternativa per niente chiara e rassicurante a trazione leghista, con un leader di cui spesso si mettono in evidenza rozzezza e opportunismo, dove qualcuno rimpiange persino i resti del berlusconismo e le componenti centriste di nuovo fatte segno a inchieste ed arresti. Un panorama dove il soggetto politico più “normale” fatica a lasciarsi alle spalle, nonostante le indubbie doti di leadership al femminile palesate in questi mesi dalla Meloni, tare di una storia ormai antica e richiami a populismi esteri di ben altro spessore, fra l’altro in fase calante. Un contenitore quest’ultimo ancora incapace di diventare la casa di un opportuno quanto necessario conservatorismo nostrano, credibile difensore di un sacrosanto interesse nazionale troppo spesso declinato, dannificandolo, in funzione di un’Europa che stenta a imboccare la strada di un federalismo serio e rimane avvinghiata agli interessi nazionali dei maggiori stati.
Last but not least, in questo scenario è assordante la completa assenza della sinistra: soggetto, emozione e ragione, che ormai sembra non esistere più e si pone, al massimo, solo in termini di educato e rispettoso liberalismo. Certo si tratta di una crisi a livello planetario ma in Italia, ormai, siamo di fronte a un esito di un lungo processo di scollamento, della sua assoluta incapacità di cogliere i processi sociali, le domande e le rivendicazioni, i bisogni e i diritti di un popolo che, dopo essere stato abbandonato di fatto alle cure dell’improbabile nazionalismo salviniano, e prima al generico qualunquismo grillino, ora viene dipinto con gli allarmanti colori del populismo, senza intendere e difendere le istanze certo economiche, ma anche quelle rivendicazioni di opportunità sociali e culturali per i ceti più deboli, ormai diventate i terreni veri della moderna lotta di classe a 100 anni dalla nascita dal PCI.
Una sinistra assente, per esempio, rispetto alla difesa del cittadino e del consumatore in un mercato che la rete rende sempre più chiuso e insensibile, in mano ad intelligenze artificiali, ai big tech e ai leviatani del commercio mondiale che trattano i lavoratori senza ritegno e gli utenti come vacche da cui mungere dati, senza nessuna possibilità di contraddittorio visto che fissano termini e condizioni di uso dei servizi come e quando piace a loro. Purtroppo questa politica e l’intera classe dirigente rimanda ed è figlia di un paese lacerato, dove non pochi pesano gli uomini e le donne in termini di Pil come la Moratti, dove le élites economiche hanno preferito migrare verso paradisi fiscali o vendere la più grande azienda privata e i ceti medi vivono anche nei meandri e nelle faraginosità di un sistema che permette il malaffare, l’evasione, la corruzione e l’utilizzo di risorse pubbliche a fini privati (e la storia della sanità degli ultimi decenni ne da amplissimo conto). In questo scenario l’ennesima tappa sul sentiero di un allargamento della maggioranza in direzione dei “moderati europeisti” (sic!) per sottrarli all’influenza sovranista, anche se dovesse dare i frutti sperati non potrà certo essere operazione di lungo e alto respiro.
Si stenta perlomeno a credere che i destini del paese e la sacra missione di impedire elezioni che “consegnerebbero” l’Italia alle destre possa essere garantita da persone come l’ex segretaria di Berlusconi, persino contro lo stesso Cavaliere e in assenza di un suo coinvolgimento alla luce del sole. Lo stesso orizzonte di un governo di unità nazionale che sembra profilarsi, in un presente sempre più povero di santi e che brulica di grigio, non appare nemmeno una soluzione definitiva. Comunque la si pensi e comunque la si rigiri, l’appello alla volontà popolare, persino nei momenti di maggiore tragicità, continua ad essere il tratto ineludibile della democrazia. Raffaele Manduca