di Tania Poguisch
“La grande ambizione” è in programmazione al cinema Lux di Messina.
Quando è stata annunciata l’uscita del nuovo film di Andrea Segre (da me già seguito e molto stimato), “La grande ambizione”, ho subito avuto un sobbalzo di ricordi. Non poteva essere altrimenti essendo il racconto sulla vita privata e politica di Enrico Berlinguer in un periodo che va dal 1973 al 1978, che sono stati proprio gli anni in cui il segretario del Pci ha teorizzato a pensare e a praticare il ‘compromesso storico’ con la Democrazia cristiana. In primo piano pensieri privati e politici di quando ero iscritta alla Fgci negli anni ’80, la federazione dei giovani comunisti, e con i miei colleghi d’università facevamo parte del coordinamento studentesco dei giovani comunisti.
Noi del coordinamento eravamo in gran parte iscritti alla facoltà di Scienze politiche e potevamo vantare i professori di sociologia milanesi che avevano fatto il ’68. Nel frattempo, ci giravamo intorno per capire perché l’università in genere fosse poco vivace e attenta ai temi internazionali e alle richieste per avere dei servizi maggiori all’interno delle proprie facoltà. Mi sembra quasi banale oggi pensare che con i miei colleghi giovani comunisti chiedevamo una guida per gli studenti sugli indirizzi di studio, sulle biblioteche, sui nomi dei docenti con le relative materie, sul come si faceva un piano di studi. Oggi è così facile attraverso un collegamento online che magari non ti fa ragionare su una mappatura interna della tua università, mentre noi facevamo ore di riunioni per costruirla, a volte con l’aiuto degli stessi docenti. Una coesione a cui tenevamo molto e che creava occasioni di confronto con gli stessi docenti.
In questo contesto universitario riferito agli anni Ottanta, il nostro punto di riferimento politico era la Fgci, un luogo molto vivo di discussioni e dibattiti e non omogeneo, per fortuna. E da dove sono iniziate per i compagni come l’amico Filippo Miraglia, dirigente nazionale dell’Arci, e tanti altri di noi, le lotte a fianco dei migranti. In quel luogo in cui c’era la sede storica del Partito comunista italiano di Messina, nel palazzo ai tempi acquistato dai compagni e dalle compagne del partito con le risorse raccolte nel modo spiegato da Berlinguer (il grande Elio Germano) ai suoi figli nel film, prendendosi in giro sulla sua stessa figura di segretario che proviene dalle file dei “grigi funzionari di partito”, come lo chiama la moglie e lo dipinge la figlia più piccola. Un ritorno delle risorse guadagnate col proprio lavoro anche parlamentare e che tornava condiviso anche con l’acquisto di sedi e di circoli. Per noi era un esempio di autonomia politica e forza.
A chi andava nella scuola di formazione di Frattocchie, altro punto di valore del Pci di allora che non trascurava la formazione dei più giovani e non necessariamente erano quadri dirigenti, dicevamo di non seguire quel percorso per fare “i futuri oscuri funzionari di partito”. Questo perché in modo arguto lo stesso Berlinguer, che per noi era il segretario nazionale, nella sua idea di direzione politica sapeva bene che dovevano formarsi donne e uomini giovani soprattutto liberi. Di Berlinguer in quegli anni una parte dei giovani comunisti non condividevamo la linea atlantista e guardavamo più alla linea politica di Democrazia Proletaria, scegliendo di far parte del Comitato per il disarmo unilaterale con Citto Saija e Antonio Mazzeo. E non del Comitato per la pace in cui non si metteva in discussione la linea del Pci sulla Nato che, secondo noi, doveva uscire dalla storia.
Per alcuni di noi, appunto, era una discriminante anche quando andavamo a votare e sceglievamo il candidato di Democrazia proletaria che sul no alla Nato diceva parole chiare e per questo non ci ha mai attratto prendere la tessera del Pci. Ma probabilmente, per il segretario di un partito con la storia che aveva il Partito comunista italiano, non era una cosa semplice con un apparato che proveniva dalla Resistenza e da un legame con l’ex Unione sovietica.
Nel film, lo stesso Segre mostra il passaggio di un Berlinguer che sposta Armando Cossutta da un incarico ad un altro e cioè dalle relazioni estere con l’ex Unione Sovietica agli enti locali, sottolineandogli nei fatti che il partito aveva bisogno della sua grande esperienza organizzativa. Ma non bastava a far credere ad un maggior rinnovamento di cui aveva già bisogno un partito che ancora non rifletteva sulle origini di una sinistra diffusa che era già iniziata e che il gruppo dirigente del Pci non vedeva nonostante i movimenti studenteschi del 1977 ed una classe operaia molto disorientata. Una parte di storia del Pci che pesava tanto a noi giovani comunisti che avevamo già una maggiore sensibilità verso i movimenti per l’ambiente ed eravamo contro il nucleare e ragionavamo in modo diverso sui confini politici e le relazioni con i movimenti internazionali dell’America latina, ad esempio.
Il regista fa una scelta e come si vede sceglie una fase della segreteria di Berlinguer. Ma va fatto tesoro anche delle riflessioni che hanno fatto sul film alcuni esponenti come Luciana Castellina, la cui storia nel PCI è nota quando insieme a Rossana Rossanda e ad altri compagni, il gruppo de “Il Manifesto”, nel 1969 furono radiati dal partito. Luciana Castellina vede, però, un limite nel film di Segre su un Berlinguer che sembra quasi “ridotto”. Lei stessa dice che non condivideva il modo in cui Berlinguer ha portato avanti la sua direzione politica sul compromesso storico. Ma considera fondamentale ricordare, per un fatto storico e per una riflessione che dovremmo fare come sinistra, il fatto non tanto peregrino, come dice la stessa Castellina, che non ci sia un legame tra il compromesso storico e la parabola che ha portato gli ex giovani comunisti come D’Alema e Veltroni (i migliori allievi durante la segreteria di Berlinguer) a diventare sostenitori ed esponenti della sinistra liberale.
Ricordiamo che D’Alema da ministro di un governo di centro-sinistra ha inventato, non potendo ignorare l’articolo 11 della Costituzione che ripudia la guerra, la guerra umanitaria. Ma Berlinguer, continua Luciana Castellina, faceva “riflessioni autocritiche, serie e complesse sulla crisi del modello democratico. E’ stato il primo dirigente politico che ha affrontato la questione dell’ecologia nei termini di una critica alla società del consumo e dei consumi superflui”.
Continua Castellina descrivendo così Berlinguer: “Il segretario che ha compreso a fondo il senso e il valore che la questione operaia e i consigli di fabbrica hanno avuto per l’intera sinistra. Tutti temi molto conflittuali”. E anche su questo punto dovremmo fare una riflessione più lunga che non può essere limitata ad un articolo che non ha la pretesa di fare analisi, ma di narrare una fase politica anche vissuta. Sicuramente può essere utile per aprire una discussione spesso rimasta a metà anche sul fatto che delle grandi organizzazioni, come Arci, Cgil e altre realtà, hanno fatto dopo alcuni anni dalla morte di Berlinguer sulla necessità di non essere cinghie di trasmissione di alcun partito.
Ovvero, l’idea che in luoghi e realtà associative sindacali e non, si deve costruire un conflitto sociale che possa opporsi alle ingiustizie sociali in maniera autonoma e libera dai partiti e fuori da ogni logica di lottizzazione degli spazi di critica e di lotta. Spazi spesso suddivisi con il famoso manuale Cencelli per far uscire i “famosi funzionari oscuri di sindacato o della grande organizzazione”.
Tom Benetollo, amato presidente dell’Arci Nazionale scomparso 20 anni fa, era stato protagonista di questo percorso perché riteneva necessario ricostruire spazi in cui il pensiero potesse crescere critico, libero e forte. In fondo lo aveva già fatto a metà degli anni ’50 il grande leader sindacale Giuseppe Di Vittorio, in cui incitava i partiti comunisti a non chiudersi in schemi astratti che allontanavano i lavoratori e i giovani. Il sindacato doveva fare il suo lavoro e i partiti il loro.
Lo stesso Di Vittorio sentiva il bisogno di liquidare ogni concezione del sindacato come cinghia di trasmissione del partito. Conosciamo la storia che Di Vittorio dovette tornare sui suoi passi e dopo di lui anche il suo successore Novella fino ad arrivare agli anni in cui lo scontro fu tra Lama e Berlinguer. Forse ancora oggi molti nodi non sono risolti, ma credo che un film come questo su Berlinguer ci possa dare un quid in più anche per rivedere il passato e capire che alcuni passaggi non sono stati così neutri per l’evolversi della storia nella costruzione di un gran movimento di massa che si opponesse alle politiche aggressive del neoliberismo.
Per finire, nel film si vede un Berlinguer che parla con la base e parla con i compagni e le compagne che vivono e fanno la politica nei circoli di base. Sull’organizzazione del suo partito Berlinguer aveva ben capito la funzione delle sedi territoriali, i circoli nei quartieri anche più complessi e le attività che aggregavano, giocando a carte o a scacchi. In quei circoli, nei fatti, si decideva anche la politica nazionale del partito perché in ogni circolo i temi venivano discussi e anche decisi. I giovani che provenivano dai circoli, nei quartieri in cui non c’era nulla, avevano il luogo dove passare delle ore a giocare a pallone o al biliardo. Noi più intellettuali a volte criticavamo queste realtà perché che pensavamo che così sostituissimo la parrocchia accanto. Ma ci sbagliavamo.
E oggi invitiamo la distratta politica locale a creare luoghi di aggregazione. I circoli del Pci, come le bocciofile Arci, lo facevano col vantaggio che all’interno non si era neutrali. E si poteva leggere l’Unità o un volantino sulle lotte dei lavoratori o delle lotte per la casa.
In alcuni casi ci siamo arroccati su idee rigide e chiuse, senza pensare che avremmo creato anche più settarismi. Dibattiti e discussioni che si vivevano in una fase probabilmente ancora “giovane” e che dopo Berlinguer e la Bolognina è diventata una fase “giovane- vecchia”, che ha avuto delle evidenti difficoltà a costruire conflitto sociale.
Poi, molti di noi abbiamo vissuto e creduto di poter portare le nostre lotte contro il neoliberismo nei social forum fino ad arrivare al social forum di Genova contro la globalizzazione e contro le ingiustizie sociali. I social forum sono stati i luoghi in cui molti della ex Fgci abbiamo operato e creduto che i nostri ideali, cresciuti in una fase politica tra Berlinguer e post Berlinguer, erano giusti. Penso a Tonino Cafeo, Paolo Chiarello, Filippo Miraglia. Ma anche qui non si può semplificare e fare analisi che sarebbero riduttive per i fatti accaduti nel G8 di Genova del 2001.
E poi, tornando con la memoria a Messina, in un normale pomeriggio di giugno del 1984, mentre eravamo nella sede del partito, è arrivata la notizia della morte di Berlinguer. Indescrivibile quello che è successo in un giro di pochi minuti. Una sede in subbuglio. Ma quello che mi ha lasciato senza parole. perché non sapevo realmente come agire, è stato il pianto ininterrotto del giovane compagno Pippo Puglisi, il fratello del caro Carmelo. Pippo, un ragazzo di una bellezza splendente, con quei riccioli neri, che piangeva davanti a me e io che un po’ lo prendevo in giro. Non so e non ricordo se lo consolavo nel modo più sbagliato. La verità è che quel pianto lungo e inconsolabile mi ha spiazzata. In fondo quel pomeriggio bastava girarsi intorno per vedere solo donne e uomini piangere e organizzare i pullman per andare ai funerali di Enrico. “Il nostro Enrico”, come lo sentivo chiamare quel pomeriggio.
Ecco, “il nostro Enrico” potrebbe spiegarci Berlinguer. Tante persone che chiamavano un segretario il “nostro” col suo nome. Io non lo sento da quel giorno. E potrebbe spiegarci anche perché un italiano su tre votava il Partito comunista in Italia. Il film di Segre, infatti, ci propone anche i fotogrammi sulle elezioni politiche e su come veniva votato il Pci in quegli anni, tra il 1973 e il 1978, in cui raggiunse anche il 40%.
Per questo e tanti altri motivi, il consiglio di vedere il film. Motivi che ognuno di noi scoverà dentro di sé.
Tania Poguisch
Foto dalla pagina Facebook di Lucky Red.