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La libertà di pensiero ed i fondamentalismi: la linea comune tra jihad ed haters

Ho proposto ai miei allievi di distogliere lo sguardo per qualche secondo se pensavano di rimanere turbati per qualche motivo. Non ho mai detto alla classe, Voi musulmani potete uscire perché potreste essere turbati”. E non ho chiesto agli allievi quali fossero quelli di confessione musulmana

Un insegnante colpevole di libertà

Samuel Paty era un insegnate di Storia, Geografia ed Educazione civica, era una persona sensibile e gentile, proprio per come “arriverebbe” a ciascuno di noi leggendo le sue parole. Attento nel preparare la dimensione emotiva della lezione che avrebbe tenuto, e tutelante negli aspetti di sensibilità che ciascuno studente avrebbe potuto esperire, ha commesso l’errore di rendere ai suoi studenti l’idea di libertà di pensiero e di espressione utilizzando le vignette di Charile Hebdo, periodico settimanale satirico francese, affrontando il tema del fondamentalismo islamico. Attenzione però, perché in questa storia non c’è solo la posizione personale di un jiiadista ceceno, Abdullakh Anzorov, che da 1 anno si era radicalizzato nel territorio e aveva preparato una lista di possibili bersagli da colpire…c’è la storia più drammatica di Brahim Chnina, il padre di una studentessa di Paty, che tramite whatspp e i social ha montato e costruito una campagna mediatica contro il professore, ed ha postato social e messaggi non veritieri sul conto del comportamento di Samuel, a tal punto da essere attenzionato dal jiiadista Anzarov.

Il peso della gogna mediatica

Paty diventa non solo vittima della follia omicida che si nasconde dietro un credo religiosa estremista, ma lo diventa prima ancora di uno spazio costruito di cui è stato vittima, che ha raccontato falsità su di lui, che ha assunto il valore di gogna mediatica nella quale il delirio jiiadista si è inserito. Quanto sono distanti questi mondi e quanto invece si muovono sincronicamente sugli stessi meccanismi? Pensateci un attimo, il fondamentalismo nasce dalla determinazione assolutistica e per postulato di una idea/regola/principio contro una categoria di persone che non ammette contraddittorio. Il cyberbullismo, quindi, condotto da haters è un comportamento stigmatizzante posto sulla base di percezioni personalistiche e distorte nei confronti di una persona, e che si alimenta grazie alla facilità di condivisione

La disinibizione nel mondo virtuale

John Suler, professore di psicologia alla Rider University in New Jersey e massimo esperto di psicopatologia cyber-mediata, nel 2004, in una sua ricerca sull’effetto di disinibizione online ne identificava le caratteristiche in: anonimità dissociativa, invisibilità, asincronia, immaginazione dissociativa, minimizzazione dell’autorità. Provate, quindi, a ripercorrere questo orribile attacco alla civiltà: un professore, ritenuto responsabile di aver urtato la sensibilità di alcuni studenti, viene attaccato dal padre di una sua studentessa (minimizzazione dell’autorità) con video e post sui social (invisibilità, anonimità dissociativa) ed un terrorista della jiihad intercetta questa falsa immagine tracciata su internet (immaginazione dissociativa) e lo decapita (asincronia).

Identificazione degli haters

Chi sono gli haters? Buckels, Trapnell, e Paulhus nel 2014 pubblicano un lavoro scientifico dove intervistano 1215 soggetti esaminando i loro profili di personalità e il loro stile comunicativo su internet: i ricercatori hanno trovato una correlazione positiva, quindi, tra i tratti di personalità narcisista e machiavellica, tratti psicopatici, personalità antisociale e personalità sadica. Provate ora di nuovo a ripercorrere tutte le storie di cronaca degli ultimi 5/10 anni determinate dal fondamentalismo islamico in occidente: come orientereste la percezione di chi ha decapitato persone, sterminato folle a concerti, si è lanciato con automezzi su passanti?

L’orgoglio del mondo intellettuale libero

La costruzione programmate e definita di un mantra d’odio sui social contro qualsiasi soggetto assurge agli stessi percorsi psicologici e profili personologici di base di ogni fondamentalismo, e di più, raggiunge gli stessi obiettivi: quanto è possibile una critica o la possibilità di non lasciarsi orientare dalla tracotanza di certe veemenze d’odio, se condotte dalla massa e dalla folla? Quanto l’effetto della disinibizione on line non consente opportunità di giudizio e di rappresentazione del proprio agire in coerenza con un esame di realtà? Paty rappresenta l’ orgoglio del mondo intellettuale libero che non si piega a logiche di ricatto o di terrore indotte…rappresenta la voglia di rendere emancipate le nuove generazione, libere di essere ed esprimersi senza vincoli. Ma chi impone ai tecnologico-nativi clichè e modelli da seguire? Chi allinea il pensiero degli adolescenti dentro range stretti e passaggi obbligati? Chi li orienta?

La cultura e Paty respirano ancora

Albert Camus, il 19.11.1957, scrisse una lettera dopo aver ricevuto il premio Nobel, indirizzata a Germain Louis: “Caro Signor Germain, ho aspettato che si spegnesse il baccano che mi ha circondato in tutti questi giorni, prima di venire a parlarle con tutto il cuore. Mi hanno fatto un onore davvero troppo grande, che non ho né cercato né sollecitato. Ma quando mi è giunta la notizia, il mio primo pensiero, dopo che per mia madre, è stato per lei. Senza di lei, senza quella mano affettuosa che lei tese a quel bambino povero che io ero, senza il suo insegnamento e il suo esempio, non ci sarebbe stato nulla di tutto questo. Non sopravvaluto questo genere d’onore. Ma è almeno un’occasione per dirle che cosa lei è stato, e continua a essere, per me, e per assicurarla che i suoi sforzi, il suo lavoro e la generosità che lei ci metteva sono sempre vivi in uno dei suoi scolaretti che nonostante l’età, non ha cessato di essere il suo riconoscente allievo. L’abbraccio con tutte le mie forze”. Germain Louis era il suo insegnante delle elementari…Camus non avrebbe di certo mai scritto su internet. La Cultura vive di incontri, di parole, di libertà di segni e di sguardi… la Cultura e Paty respirano, ancora.

Vincenzo Maria Romeo

Psichiatra – Psicoanalista