Ci sono eredità che si tramandano, senso dell’appartenenza e radici che non gelano mai. Milazzo ha vissuto un esodo di giovani incolmabile: laureati, diplomati, periti, operai e artigiani, imprenditori e professionisti.
Eppure c’è una Milazzo che non si racconta. Silenziosa arranca e si sorregge sulle spalle di chi ha scelto di restare, stoicamente, o di tornare, coraggiosamente. Ne abbiamo parlato spesso. Sono i giovani della movida, della ristorazione, dello slow food, del settore dei servizi, delle iniziative legate al turismo.
Milazzo ha un piccolo esercito di giovani che nello stretto delle Termopili ha incredibilmente affrontato e superato la crisi economica, sociale, culturale. E’ su di loro che sorgerà l’alba di una nuova città che trova e ritrova le sue radici nelle borgate, nelle bellezze, nei monumenti, nella speranza di un futuro più roseo. Tra le macerie di una classe politica inetta e immobile – e di una classe dirigente addirittura peggiore della prima – un isolamento che mai aveva vissuto questa città, sorgono ristoranti, strutture ricettive, iniziative sportive di ogni sorta. C’è voglia di cambiamento, si avverte parlando tra la gente per strada. Non è entusiasmo, badate.
Qui l’apatia è l’indifferenza regnano ancora sovrane. Ma i giovani ribelli alla James Dean sono ancora determinati a sovvertire l’ordine gattopardesco di una città che in gran parte si è arresa nonostante le luci sparute di una piccola orda di volenterosi. La loro unica colpa? Guardare alla politica come una minaccia e non a una opportunità da cogliere per fare di questa voglia di cambiamento una rete orografica in grado di spazzare via il vecchio per il nuovo.
Non sarà quindi una rivoluzione anagrafica “alla Robespierre” ma la più pregnante e concreta azione sociale che questo territorio abbia mai vissuto. Loro non salveranno questa città oggi ma sono gli eroi che serviranno per sanare il suo domani. Comunque vada sarà un successo. Si dice così no?