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La protesta dei “Bronzi di carne”: loro (giustamente magnificati), noi dimenticati…

REGGIO CALABRIA – Enorme – anche se magari non così tempestiva… – attenzione per i Bronzi di Riace, nell’anno del loro cinquantenario. E chi sta nei luoghi che, mezzo secolo fa, videro la riemersione dei due Guerrieri?

Rivolgendosi a un non meglio specificato ‘dottore’, interlocutore di turno, sottolinea il presidente dell’associazione Apodiafazzi ed ex sindaco di Bova Carmelo Giuseppe Nucera che «molti di noi Calabrogreci ed io tra questi abbiamo avuto sempre invidia dei Bronzi di Riace».
Invidia, addirittura? Sì, perché «50 anni addietro li hanno tirati fuori dal mare, li hanno restaurati più volte, addirittura l’ultima volta in un salone del Consiglio regionale dove, per la cura, hanno creato una vera ‘clinica archeologica’. Noi “Bronzi di carne” che viviamo in paesi pericolanti sulle falde dell’Aspromonte, senza case, senza lavoro, senza strade, senza scuole senza sanità, neanche la Guardia medica, senza diritti etc., anche noi siamo stati scoperti. Da un tedesco, Karl Witte, un giovane prodigio che nel 1820 visitò Bova, raccolse dei Canti che pubblicò nel 1821. E da quella data tutto il Mondo apprese che la Grecità nella Calabria meridionale aveva continuato a vivere, dai tempi di Omero, nonostante l’Impero romano».

Epperò lo stesso Witte, evidenzia Nucera, «per questa scoperta non prese alcun premio in danaro né sottrasse ad altri la scoperta. Noi “Bronzi di carne” siamo ancora qua, sperando che, parlando la lingua dei “Bronzi”, qualche Istituzione voglia salvare noi, la nostra lingua, le nostre tradizioni. Da buoni italiani abbiamo nonostante tutto sostenuto la nostra Patria Italia, siamo sempre stati carne da macello. Noi “Bronzi di carne” abbiamo il nostro contributo nel Risorgimento italiano. Ma le Istituzioni fanno finta di non capire. E lasciano i nostri paesi, la nostra lingua, la nostra cultura nel più completo abbandono. Attenzione Governo noi presidiamo i nostri territori ma vogliamo i nostri diritti. Vogliamo che i nostri paesi vivano».