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La storia di Ebel. Dalla prigionia in Libia agli studi di Medicina a Messina

MESSINA – Ebel è un giovane studente dell’Università di Messina. Ha un grande sogno davanti agli occhi, quello di diventare medico, e una storia alle spalle, fatta di tanta forza e di tanto dolore. Ebel (non inseriamo il cognome, né la foto, per garantirgli una maggiore tutela) arriva dal Ghana e ha ottenuto lo status di rifugiato in Italia perché in pericolo nella sua terra d’origine.

Ha affrontato la perdita, ha incontrato la violenza, ha sopportato la prigionia in Libia, poi, lo sbarco a Trapani su un barcone. Ha conosciuto il dolore. Ma lo racconta con un sorriso luminoso e grato alla vita, sebbene nei suoi occhi vispi e intelligenti sembrano ancora stampate le immagini di quel male.

“La Sicilia mi ha reso libero. Questa è la mia terra e qui voglio lavorare per ricambiare il sostegno ricevuto”, dice con emozione. La sua è una storia speciale mentre oggi, 3 ottobre, ricorre l’anniversario del naufragio di Lampedusa, con la morte di 368 migranti. Era il 3 ottobre 2013 e sono trascorsi dieci anni.

La perdita dei genitori

Racconta Ebel: “Vengo dal Ghana, dove ho perso i miei genitori quando avevo 14 anni e mia sorella 9. Abbiamo trovato i loro corpi per strada, lo hanno definito un incidente, ma io so che non è così. Erano cattolici, ci hanno cresciuto da cattolici e sono certo che sia questo il motivo della loro morte”.

Dopo la morte dei genitori, Ebel e la sorellina sono costretti a lasciare la loro casa, perché in affitto, e a spostarsi da una zia. Nonostante le insistenze, in quel periodo, perché cambiasse religione, Ebel continua a pregare, legge la Bibbia ogni mattina. E, per questo motivo, una notte lui e la sorella vengono cacciati via.

“La mia vita – continua – è fatta di incontri e di momenti che mi hanno salvato; persone che sento siano state mamma e papà a portare da me. Il primo incontro che ha segnato il mio cammino risale a quella notte in cui siamo stati buttati fuori da casa: è un signore, mai visto prima, che ci vede per strada, ci chiede la nostra storia e ci porta con sé”. L’uomo, però, ha una moglie malata e non può mantenere da solo i due fratelli, chiede perciò a Ebel di partire con lui per lavorare in Libia.

Il giovane si sofferma sulle esperienze terribili di quel periodo: “In quelle strade ho provato per la prima volta la vera fame, la sete, la fatica. Dal Ghana ci siamo spostati nel Burkina Faso, da lì nel Niger e, infine, in Libia. Non riuscivo a parlare, a camminare, la mia pelle era disidratata, avevo tanti dolori, sono arrivato in Libia davvero debole. Il signore mi ha portato a riposare in una casa mentre lui si prendeva cura di me con medicine e cibo. Dopo una settimana, mi consiglia di iniziare ad uscire un po’, a camminare con lui. Non appena lascio il rifugio, ci catturano e ci imprigionano”.

La prigionia in Libia

“Sono stato in prigione per 3 mesi – prosegue Ebel – lì ho perso ogni speranza per la vita, non credevo ci fosse più per me alcuna possibilità di sopravvivere, ero trattato come uno schiavo, privato di tutto, costretto a bere l’acqua sporca. Ho toccato la morte con mano, ho visto tanti amici non farcela”.

L’uomo, che aveva accolto e, poi, portato in Libia Ebel, prova a fuggire, invano. Viene catturato nuovamente e ucciso davanti a tutti: “È stato il dolore più grande, vederlo morire senza poter neanche dire che lo conoscessi. Continuavo solo a pregare, a chiamare i miei genitori, che, lo sentivo, stavano vivendo tutto insieme a me”.

Una notte, però, una tempesta salva ad Ebel la vita. “Pioveva incessantemente – ricorda – e il vento batteva forte sulle finestre, forte a tal punto da riuscire ad aprirne una. Sento, allora, qualcosa dentro che mi dice di scappare; ero consapevole di ciò cui andavo incontro, ma sapevo di doverlo fare. E, così, sono fuggito. Non appena inizio a correre via, mi ferma un uomo con la pistola, ero convinto fosse il proprietario della prigione, ero convinto fosse pronto ad uccidermi; invece, mi ha salvato e portato con sé. Anche questa volta ho sentito che fosse stata la mia famiglia a metterlo sulla mia strada”.

Ebel spera che il suo salvatore possa riportarlo a casa, nel Ghana. Ma l’uomo non ha denaro a sufficienza per farlo. Conosce, però, chi potrebbe offrirgli un’altra occasione: fuggire per la sua libertà, verso l’Italia, attraversando il mare su un barcone. Ebel intraprende, così, un nuovo cammino, di dolore, di pericolo, di atrocità, ma, anche, di salvezza.

Attraversare il mare per la libertà

Sono passati sette anni da allora, ma la paura è, ancora, forte tra le sue parole: “Nel pieno della navigazione il barcone su cui attraversavamo il mare inizia a riempirsi di acqua, l’acqua invade ogni angolo e sentiamo di affondare lentamente. In tanti annegano, non ce la fanno, finché, arrivati nei confini italiani, gli aerei militari ci avvistano e la guarda costiera ci mette in salvo. Io non lo ricordo esattamente, ma dicono fossimo 142 sulla barca, di cui salvi solo 62. Ci portano a Trapani e lì inizia la mia nuova vita”.

La salvezza in Sicilia: “Mi ha reso un uomo libero”

Rivela il giovane: “La prima emozione che ho sentito, arrivando in Sicilia, è stata quella della libertà. La Sicilia mi ha reso un uomo libero dal primo momento in cui, a 16 anni, ci ho messo piede e, poi, ogni giorno sempre di più. In Sicilia mi hanno aiutato tutti, ho trovato solo sostegno e affetto”.

A Trapani, Ebel viene accolto in un rifugio per minorenni. Poi, a Poggioreale, nella Sicilia sud occidentale, inizia a studiare, a giocare a calcio, a frequentare la chiesa. A quasi 18 anni si sposta a Ballata di Baida e continua lì. Raggiunta la maggiore età, però, deve rendersi indipendente, trovare casa, lavoro, non può essere più la comunità a prendersi cura di lui.

A Poggioreale lo riaccolgono come una vera famiglia e lo aiutano a trovare un impiego. Inizia a lavorare come cameriere a Castellammare del Golfo, lava i piatti, poi, diventa anche pizzaiolo, prima da Booga Wooga e, un anno dopo, da La duchessa. “Esperienze bellissime, divertenti, formative – precisa – ma il mio grande sogno restava sempre lo stesso e, anche in questo caso, la Sicilia mi ha permesso di realizzarlo”.

Il sogno di Medicina e l’approdo al corso di laurea in inglese a Messina

“Desidero fare il medico da prima ancora di sapere cosa volesse dire fare il medico, lo sentivo forte dentro di me – spiega Ebel – ma mi domandavo: cosa devo fare per diventarlo?”. In tantissimi si mobilitano per aiutarlo a rispondere a quella domanda e per rendere il sogno realtà. A Poggioreale segue la prima scuola serale, dove ha potuto recuperare l’educazione elementare, poi prosegue con la formazione per la scuola secondaria di primo grado. Un corso a Palermo gli permette, infine, di iniziare il liceo scientifico già dal terzo anno. Lo frequenta ad Alcamo dove trova un’altra vera famiglia che lo segue e lo incoraggia fino ad oggi.

Nel frattempo, non smette mai di lavorare, fino all’estate della maturità in cui, contemporaneamente agli esami, si prepara per i test di Medicina. La professoressa che lo accompagna nella preparazione per i test, accorgendosi della sua precisa conoscenza dell’inglese, gli consiglia di tentare il corso di laurea in Medicina in inglese.

“Voglio fare il cardiologo e salvare le vite ma tornerò sempre a casa, qui in Sicilia”

Racconta Ebel: “Così ho fatto i test a Pavia e sono entrato, sono entrato anche a Milano, ma non mi sono immatricolato in nessuna città finché non sono stato accettato dall’Università degli studi di Messina. Questa è la mia terra, la mia casa, il popolo che mi ha salvato, che si prende cura di me, che mi chiede come sto. Io voglio stare qui e ci sono riuscito, ho iniziato le lezioni senza sapere ancora dove stare; ora sono al secondo anno, ho svolto gli esami, ho la mia casa, i miei amici. E non smetto di sognare, oggi penso di voler diventare cardiologo, ma qualsiasi sarà la specializzazione che sceglierò, il mio futuro deve essere qui”.

“Spero di poter andare anche all’estero, per approfondire i miei studi, ma tornerò sempre a casa, in Sicilia. Non mi interessa cosa dice la politica, per me conta l’amore che ho incontrato qui ogni giorno. Devo tutto a questa terra, voglio ricambiare ciò ha che fatto per me, salvare le vite come ha salvato la mia. Non dimenticherò mai ciò che l’Italia mi ha dato”.