di Marco Olivieri
E QUALCOSA RIMANE – La vittoria di Donald Trump, 47esimo presidente degli Stati Uniti d’America, rivela ancora di più quanto sia profonda la crisi della democrazia. Una crisi che va oltre l’impero americano e investe l’Europa e le sue fragili idee. Una crisi globale, in cui nessuna realtà può ritenersi esclusa.
Il ritorno alla Casa Bianca di un presidente tanto improbabile quanto capace di resistere a una sconfitta, e riprovarci, un merito ce l’ha: quello di farci vedere l’abisso di contenuti, valori e figure di riferimento che si è spalancato in questi anni anche sul versante cosiddetto democratico.
In primis una politica estera che grida vendetta davanti agli esseri umani, e i cui effetti paghiamo ancora oggi, in un clima di guerra permanente. Kamala Harris, vicepresidente di Biden e sconfitta come candidata, è l’emblema di uno schieramento liberaldemocratico e progressista incapace di parlare al popolo e di avere un’identità credibile. In un Paese che tranne Bernie Sanders e pochi altri non conosce la sinistra, anche lo sbiadito progressismo è parso sempre più debole.
Da questo senso di sconfitta di visioni e idee bisogna ripartire. Verranno teorici del pensiero politico capaci di elaborare riflessioni alte su questa lunga decadenza di un impero e di una concezione del mondo. Ma intanto ricordiamo che, nella crisi attuale, la campana è suonata da molto tempo. E la ricostruzione, se si crede nella democrazia e nei suoi valori, dovrà essere lunga e per nulla scontata. La vittoria di Trump parla a noi, al nostro fragile Welfare. E ci comunica che un mondo senza giustizia sociale creerà sempre di più nuovi e inquietanti mostri.
La rubrica E qualcosa rimane.
Foto di Trump fonte Italpress.