MESSINA – La ben curata pièce è andata in scena il 30 e il 31 luglio, con doppia replica sempre serale, dinanzi a spettatori partecipi che hanno affollato il Monte di Pietà, con la direzione di un sempre convincente Daniele Gonciaruk (nella foto). Si è trattato della rappresentazione di un testo, dal titolo “L’amore non basta”, risultante del progetto laborioso in corso quest’anno e frutto di interazione fra l’Artista stesso e gli Allievi, che ha generato un buon adattamento dell’opera di Joel Pommerat, che si è scelto di “omaggiare”, “La riunificazione delle due Coree”.
L’intitolazione è metaforica e intende riferirsi alle traversie che sovente costellano l’unione fra due esseri, in guisa similare a quel che è accaduto fra Corea del Nord e del Sud.
Genera ulteriori dubbi e incertezze, questo amore che non fa sconti…mai e duole, duole sempre, ci vuol significare la performance.
E allora… scortesie amorose in intrecci elaborati… inestricabili sentieri ove ristagnano gli impeti, gli ardori… e non puoi fare a meno di interrogarti se davvero valga la pena questo impelagarsi e soffrire così intensamente.
Rovelli, ove il male d’amore è protagonista, e ci vuol poco perché il sentimento non basti più a sé stesso, e subentri lo spaesamento per interventi esterni alla coppia o per rottura inesorabile di equilibri interni.
Dodici validi interpreti in questo lavoro ben strutturato, terminale,si diceva, di un percorso teatrale in forma corale.
Nella specie, ne hanno preso parte:
Antonella Francica
Claudio Iannello
Ester Gangemi
Francesco Aligata
Gaetano Citto
Giorgio Cappadona
Giuseppe Sgro
Mara Giannetto
Mariangela Pizzo
Marisa Lasco
Melania Caratozzolo
Rosalba Orlando
Dieci specifici quadri imperniati sulla amorosa materia, con i suoi inciampi, la sua carente pienezza, pur auspicata e ricercata.
Ogni fattispecie messa in scena è autonoma rispetto alle altre, ma vale a completare un tutto che è in uno armonico e disarmonico, come le narrazioni spigolose che lo compongono.
Le sfumature del sentimento nelle svariate gamme, da quello amicale a quello coniugale, passando per la caratterizzazione più strettamente sessuale, dominano attraverso gli individui che ne sono “portatori sani”.
Gli artifici non sono bastevoli a ricomporre il puzzle…al quale pare sempre mancare un frammento… allora ecco il prodursi del senso accorato della perdita, dell’altro ma anche di parte di noi, che nella relazione ci eravamo rispecchiati.
Le situazioni rappresentate sono sovente al limite davvero, e il lato tragico risulta per lo più avere la meglio.
Gli accadimenti sono resi a mezzo conversazioni, o meglio prove di dialogo, fallimentari per lo più, che creano cesure, o addirittura separazione dei percorsi esistenziali, poiché qualcosa si è rotto e comunque l’Amore, anche se sussistente, non è sufficiente a salvare le relazioni, e quale sorta di impalcatura è destinata a crollare ove si violino le regole segrete che la presidiano.
Quanto alle musiche, ognuna di quelle prescelte sembra ben accordarsi con storie e interpreti: da Mina, con “Raso” del 1993, Aznavour con “Faut savoir”e Frank Sinatra, con la celeberrima “Stranger in the night”, per giungere a brani della francese Buridane e a pezzi strumentali del compositore polacco Abel Korzeniowski.
La cifra connotante la performance è stata in sostanza la ineluttabilità della fine degli amori, con ricadute amare, sovente tragicomiche, perché trattasi di materiale delicato assai, da maneggiare con cura e circospezione, per evitare che vada in frantumi.
La scena, infine, con due sedute, volutamente spaiate, e tante lampade da terra di differenti fogge e colori, a sottolineare la singolarità di ciascuna individualità, che è propriamente monade, e stenta molto a divenire duo.
Bella prova, dunque, uno studio ricercato e mai banale, che ha messo in valore ciascuno degli attori, al seguito della regia magistrale di Gonciaruk, a servizio di uno script di non facile resa perché sfilacciato in dieci diversi rivoli rispetto ai quali si è saputo trovare la convergenza.