Riceviamo e pubblichiamo un contributo dell’arch. Clarastella Vicari Aversa, in merito allo studio di fattibilità portato avanti dal Comune di Messina per la “Metromare“, con altre considerazioni a corredo sulla valorizzazione della zona nord.
Le scelte sul futuro di Messina non finiscono mai di sorprendere o di indurre a cercare di comprenderne l’utilità per lo sviluppo turistico ed economico della città, lì dove a prima vista non se ne trova traccia. La notizia di uno studio di fattibilità tecnico economica su un collegamento via mare da Capo Peloro al porto storico e da lì fino a Reggio Calabria, pubblicata su questo giornale online, ne è un esempio paradigmatico. La città che, a questo punto direi per caso, ha ancora una fascia di costa di libera fruizione come spiaggia, per circa 10 km dal suo centro verso nord fino a uno dei luoghi più evocativi e simbolici, Capo Peloro, lì dove ha casa Cariddi, non progetta interventi per la sua fruizione naturale ma approdi per andare in Calabria, porticcioli per le barche e fermate della Metromare.
Tutte forme di utilizzo della spiaggia ad alto impatto ambientale, che di fatto ne impediscono la fruizione a cittadini e (in tal modo improbabili) turisti, con scarsi vantaggi economici per chi, in questo territorio, prova a restare e a fare restare i propri figli. Immaginiamo per un secondo due scenari distinti: il primo quello di una Messina che dalla passeggiata a mare fino a Capo Peloro, recupera il suo accesso al mare come le città della Costa Azzurra in Francia o della Costa Brava e del Sol in Spagna, con servizi adeguati e decine di attività economiche funzionali alle attività balneari e la Messina che ci aspetta. Un nuovo porto nella rada di San Francesco, una serie quasi continua di porticcioli e servizi per le barche tra il torrente Annunziata, Paradiso, Contemplazione, Sant’Agata, che si aggiungono ai “cantieri” per alaggio e rimessaggio già presenti e, dulcis in fundo, le stazioni per l’attracco della Metromare con le relative costruzioni sul mare per biglietteria e sala d’attesa dei passeggeri.
Il primo un modello di sviluppo economico che potrebbe estendersi anche verso la costa sud, già nel cuore della Real Cittadella, come dimostra, purtroppo quale mero atomo, ciò che accade nei pressi del locale Ricrio Ammare accanto dalla Stazione Centrale; il secondo un modello diretto a voltare ancora una volta le spalle allo Stretto per guardare ciò che resta delle colline verdi della città.
Si precisa che vi sarà uno studio di fattibilità tecnico-economica e, probabilmente, ne verrà fuori la fattibilità. Chissà se si parlerà anche della sostenibilità di lungo periodo in una città che vede la maggior parte dei suoi giovani andare via dopo il diploma. O della compatibilità ambientale in una zona dove fare una tettoia in giardino è un percorso a ostacoli o talora, come si diceva una volta, fare un terno al lotto. C’è da chiedersi, a ben vedere, se un tale progetto sia politicamente auspicabile. Se, cioè, il futuro socio-economico di Messina, il suo Pil, il benessere e il reddito dei suoi residenti ne abbiano bisogno. O se, di contro, il collegamento di quella fascia di città con il centro storico non possa e debba passare dal completamento di opere già previste per il Ponte sullo Stretto, anche senza volerlo realizzare.
Ci si riferisce, oltre alla definitiva e completa apertura degli svincoli di Giostra e Annunziata, inclusa la “misteriosa” galleria San Jachiddu, alla strada, già progettata e prevista nelle opere del Ponte, a monte della Panoramica che consentirebbe in meno di 10 minuti di percorrere i 10 km dall’Annunziata a Torre Faro. Una piccola infrastruttura che, incrementando le fonti di ricarica elettrica in città, contribuirebbe anche a ridurre l’inquinamento e il numero di mezzi in circolazione sulla via Consolare Pompea.
Se allarghiamo lo sguardo e proviamo a pensare alla Messina del 2030, Il lungomare della città, o come piace chiamarlo ai più, il waterfront, meriterebbe certamente più aperture non di certo più chiusure, più recupero di zone degradate che aumento del rischio di inquinamento del mare che anche la Metromare rischia di produrre. Lo Stretto di Messina non è la laguna di Venezia con i suoi vaporetti; e se, banalizzando, a Venezia non vi è abitudine “a fare il bagno” in laguna, non è chiaro perché qui dobbiamo privarci del piacere della fruizione attiva del nostro mare o restringere sempre più questi spazi, per noi una reale e immensa ricchezza. Diamoci tutti una speranza e, soprattutto, con una punta in meno di provincialismo diamola ai nostri giovani.
Clara Stella Vicari Aversa