Per chi suona la campana del voto? Per maggioranza e opposizioni. Per una politica in caduta libera, priva di idee, partiti solidi e classi dirigenti, in crisi di credibilità da decenni. L’astensionismo è un fenomeno in continua crescita ma la politica continua a far finta di nulla. Se, per le regionali nel Lazio e in Lombardia, hanno votato circa il 40% degli aventi diritto, con un passo indietro eccezionale di 30 punti, far finta di nulla diventa davvero difficile. Rileva l’Istituto Nazionale di Ricerche Demòpolis: “Accanto alla netta vittoria del centrodestra, è il crollo dell’affluenza il dato più significativo delle elezioni regionali: in Lazio dal 67% del 2018 al 37% di oggi, con un’astensione cresciuta di 30 punti percentuali. Con un calo dell’affluenza di pari dimensioni, record negativo anche per la Lombardia, dove si è passati dal 73% delle Regionali 2018 al 42% di oggi. Nell’analisi post elettorale, abbiamo studiato le cause del non voto nelle due regioni. La maggioranza assoluta di chi si è astenuto attribuisce la propria scelta a delusione e sfiducia verso partiti e candidati. Per 4 su 10 l’esito del voto appariva scontato, con la vittoria annunciata del centrodestra; per il 33% la politica regionale non incide più sulla vita reale delle famiglie“.
E ancora: “Lo scarso appeal dei candidati trova conferma anche nelle scelte di chi invece alle urne si è recato: a incidere sulle scelte di voto – secondo l’indagine Demopolis – è stato, per il 75% il partito o la coalizione di appartenenza. Meno di 1 su 5 ha scelto in base al candidato alla presidenza; appena il 6% tenendo conto del programma. Il voto in Lazio conferma il momento di difficoltà del Pd che perde la Regione guidata per 10 anni da Zingaretti. Secondo l’analisi dei flussi elettorali, condotta da Demopolis, dei 540 mila elettori che avevano votato il Partito democratico alle Regionali del 2018, appena 53 su 100 hanno riconfermato il voto oggi: in pochi hanno tradito, ma il 42% degli elettori del Pd nel 2018, oggi ha scelto di astenersi”.
È l’intera politica a essere messa in discussione. La percezione è che non riesca più a incidere in modo significativo sulla vita delle persone. E allora l’astensionismo, in un panorama nel quale le differenze non sono così rilevanti o non appaiono tali, diventa il modo democratico per esercitare il proprio diritto al dissenso. E il proprio malessere di fronte a una proposta politica scadente. Scrivevamo il giorno dopo le elezioni politiche: “Giorgia Meloni vince le elezioni politiche con Fratelli d’Italia. Il successo della leader ed ex ministra è innegabile ma va rilevato pure che la politica è in crisi. Prevalgono disaffezione e scetticismo: mai così tanti astenuti alle politiche, con il 63,91 degli aventi diritto. La politica non appassiona, non scalda gli animi. E l’abulia che abbiamo respirato a Messina sarà simile a quella che spinge tante persone, disincantate, a non votare, non indentificandosi in alcun partito e ideologia. Tanto non cambia nulla, sono tutti uguali è la frase ricorrente”.
Insomma. da qui a “E poi ti dicono Tutti sono uguali,/ tutti rubano allo stessa maniera/ Ma è solo un modo per convincerti/ a restare chiuso dentro casa quando viene la sera”, per dirla con “La storia” di De Gregori, il passo è breve. E se il qualunquismo è un pericolo, va anche evidenziato che idee e classi dirigenti fanno davvero poco per far appassionare elettori ed elettrici, nel segno del ritorno alle urne. Prima d’arrivare al Paese immaginato da Saramago, nel romanzo “Saggio sulla lucidità”, in cui l’83 per cento degli elettori vota scheda bianca, bisognerebbe correre ai ripari. Vincitori e (momentaneamente) vinti di oggi pensate al domani, e al futuro delle comunità, con forza progettuale e senso della visione. Con coraggio, umltà e capacità d’ascolto. Prima che sia troppo tardi.