Con “Amore” si chiude, dunque, la rassegna teatrale “Il paese dei Balocchi”, per il progetto “Laudamo in città”, promosso dalla compagnia teatrale DAF e, probabilmente, nella sfera universale dei sentimenti umani, niente meglio dell’amore può rappresentare ciò che è stato il lavoro svolto da chi ha deciso di investire tempo e risorse in un progetto così ambizioso: spostare l’attenzione dall’idea di teatro come materia astratta, riportandolo nei quartieri, alla propria naturale dimensione di vitalità. Una scommessa, quella di Giuseppe Ministeri, presidente della DAF, che si è rivelata senza dubbio vincente, per una stagione ricca di appuntamenti con oltre 20 spettacoli andati in scena, per un totale di 60 recite e 6000 spettatori.
Parlare d’Amore è la cosa più semplice e, allo stesso tempo più difficile dell’Universo. Basta un aggettivo di troppo, un avverbio usato distrattamente, talvolta anche una virgola fuori posto, a cambiare le cose. L’amore può annoiare, stancare o rendere tutto rosa e cuoricini (il che, a non poche persone, annoia e stanca).
Lo spettacolo di Giacomo Ferraù e Giulia Viana prende le mosse da un Pinocchio stanco che si ritrova a considerare la vecchiaia in una riflessione lunga un’esistenza, dal grembo materno alla senilità, passando per tutto quello che di prevedibile sta in mezzo: il bacio ipersalivare dei 15 anni, l’inevitabile e patetico confronto generazionale genitori/figli, quindi la costruzione di un amore (come suggeriva Ivano Fossati) e l’odio purissimo che ne consegue dopo qualche anno di convivenza. Su tutto l’ombra di una Fata che – esistente o no – possa giungere a svoltare l’esistenza del burattino che vuole farsi uomo.
Lo spettacolo si apre con una scena colorata e luccicante (merito dei costumi a cura di Giulia Drogo) e prosegue con un ritmo mediamente dinamico, tutto giocato sulle coreografie di Sarah Lanza e qualche intuizione interessante che emerge nel racconto (l’idea del tavolo da cucina che si trasforma in un fagocitante tapis roulant sul quale si affannano i ragazzi, concretizza abilmente in una immagine il disagio parentale di cui ci si ammala, orientativamente, intorno ai trent’anni).
L’impressione ricorrente è quella dell’estetica formale di uno spot d’autore, dove su tutto campeggia il gesto ad effetto e la morale della storia.
La morale è semplice. Arriverà anche il giorno in cui si potrà procreare/amare/schiacciare i punti neri dal naso, in totale autonomia senza bisogno di un altro essere vivente. Quel giorno, probabilmente, si risolveranno tanti problemi, tra i quali le foto di coppia e le frasi sentimentali da accoppiati che neanche il più ferreo dei matrimoni e la più pacchiana delle fedi sventolerebbero con tale sfacciata evidenza. L'amore non è sacro, non è un altarino dove deporre fiori o sacrifici umani: l'amore è istinto: ti acceca, ti prende contro il tuo volere e ti porta lungo un sentiero impervio. Ma tu non te ne accorgi e pensi di essere il prescelto. Quando finirà anche questo amore, forse tireremo un sospiro di sollievo, l'ultimo prima del rantolo. Durante il rantolo ci dedicheremo al birdwatching o ai bambini prodigio che cantano Albano su Rai Uno, fino all'autodistruzione. Ma fintanto che attendiamo quel giorno, contro ogni volere e ogni buon proposito, continueremo ad essere vivi così, con il palpito in gola e il respiro breve, quello degli innamorati.
Giuseppina Borghese