Il “pescestocco a ghiotta”, come si sa, è una specialità gastronomica messinese. Fuori città o nel continente lo chiamano “stoccafisso” o “merluzzo essiccato”. Adesso questo squisito pesce nordico è diventato uno spettacolo teatrale, mutuato dall’originario testo in romanesco “Sugo finto” di Gianni Clementi, adattato in siciliano da Laura Giacobbe col titolo dialettale di “Piscistoccu a ghiotta”, messo in scena alla Sala Ladamo da Ninni Bruschetta e interpretato da Antonio Alveario e Sergio Friscia. I quali, forse forzando Bruschetta troppo la mano, sono diventati due personaggi femminili. Alveario è una Rosaria paesana, sciatta nel vestire, pantofole, scialle, occhialini, parrucca nera a crocchia da somigliare alla madre di Anthony Perkins nel film “Psycho” di Alfred Hitchcock, oltremodo tirchia, tutta chiusa nel suo piccolo mondo, un essere miope che non vede niente oltre le sue quattro mura, si esprime in dialetto messinese ed è lei la fautrice della noto piatto culinario che preparerà e servirà a tavola ancora fumante. Friscia è una Addolorata più metropolitana, più curata nel vestire anche se con risultati pacchiani, indossa una riccioluta parrucca rossastra, pensa ancora di piacere a qualcuno, è più espansiva e spendacciona e parla un dialetto palermitano con accenti alla Mimmo Cuticchio o alla Luigi Buruano. Dopo i primi dieci minuti di risate, sprigionate anche dal loro modo di interloquire e darsi al pubblico, l’interesse verso lo spettacolo va scemando, perché i due attori nei grotteschi abiti femminili (quelli di Cinzia Preitano) vanno assumendo lentamente le caratteristiche di due trans, di due travestiti, esprimendosi come due vecchie omosessuali, acide e sole, che affrontano la vita in superficie, lamentando che la loro botteguccia (una merceria, pare) vende sempre di meno a causa della concorrenza spietata dei cinesi, che bisogna risparmiare come sagge formichine e che al matrimonio di amici e parenti bisogna fare regali poco costosi, anche se poi partecipandovi, si caleranno ogni ben di dio. Succederà poi qualcosa che metterà in tilt Rosaria, mentre Addolorata canterà in stile karaoke e senza parrucca “Se perdo te”, udendosi in lontananza la voce di Patty Pravo, augurandosi un’auspicabile ripresa fisica della compagna e sorella. Siamo lontani dalle atmosfere tragiche de “Il bacio della donna ragno” di Manuel Puig o da “Le cinque rose di Jennifer” di Annibale Ruccello, anche se Bruschetta ha cercato di ri-creare atmosfere acide, rancide e malsane con quella radio che trasmetteva solo oroscopi e canzonette da hit-parade, in un ambiente scenografico minimale, rigorosamente rosso (lettino, comodino, tavolo, sedie, con lucette multicolori lampeggianti nel fondo scena) approntato da Mariella Bellantone e illuminato dalle luci di Antonio Rinaldi. Non sono mancati alla fine gli applausi del pubblico della Sala Laudamo.- Gigi Giacobbe