MESSINA – Una storia di fatica e rabbia arriva dalla provincia di Messina dove una giovane donna, rientrata in Italia dopo anni di vita all’estero, si scontra con la difficile realtà lavorativa del sud. Costretta a tornare per motivi di salute legati al marito, la giovane aveva lasciato la sua terra per cercare fortuna in Svizzera, dove era riuscita a costruirsi una vita soddisfacente. “Ho lavorato 8 anni e mezzo in Svizzera, dirigevo una fabbrica di orologeria. Qui non posso fare l’orologiaia, non esistono fabbriche”, racconta.
Da qui l’esasperazione. “Le mie esperienze sono tragiche, difficili da da accettare. L’ufficio di collocamento dice che gli sto facendo venire i capelli bianchi. L’altro giorno mi sono messa disperata a piangere lì, chiedendogli di venirmi incontro. Gli ho detto che sono una ragazza che ama lavorare, tra l’altro sono in possesso di un sacco di corsi di formazione. Io ho sempre vissuto da sola e mi sono sempre mantenuta con le mie forze”, spiega.
La denuncia contro un sistema lavorativo che premia le conoscenze più delle competenze. Prosegue la giovane: “Ho provato a cercare qualsiasi altra occupazione, mi hanno chiesto a quale famiglia appartenessi. Mi sono sentita anche a disagio. Io non vengo dalla famiglia di Caio e non sono figlia di tizio, quindi non sto trovando la giusta occupazione. Sono dovuta andare con mio cognato a chiedere in giro, è una vergogna totale. Ho deciso, proprio per esperienza, di non lavorare più nei bar, nei ristoranti e negli agriturismi perché lavori dalle 12 alle 16 ore, per 800€. Tra l’altro mi pagavano 20, 50 euro alla volta. Dovevo pure pregare il mio datore di lavoro e dirgli anche grazie, perché ti fanno sentire così. Qui c’è una mentalità distorta, non capiscono che l’attività va avanti grazie agli operai. C’è l’idea del padrone”.
Aggiunge, disgustata. “Io, operaia, ti devo pregare di pagarmi perché mi sta scadendo la bolletta a casa, dopo che lavoro 18 ore al giorno. Mi viene da piangere”.