MESSINA – Altra incisiva performance per il “Cortile Teatro Festival 2022”- XI Edizione, sottotitolata “Forma e sostanza”- diretta da Gianni Farina, che ha altresì curato la riduzione del testo “Dallo scudetto ad Auschwitz”, di Matteo Marani nella impeccabile resa in forma di reading di Consuelo Battiston e Beatrice Cevolani,molto apprezzata da un uditorio numeroso e attento. Ottimo apericena del Ristorante “A Cucchiara”.
Dalla essenziale presentazione dell’uomo Arpad Weisz, “né bello né brutto, né alto né basso”, che, semplicemente “era”, il testo urticante, in questa riuscita versione in riduzione si è dipanato a grandi linee, soffermandosi in uno sulle vicende umane e professionali di un ex calciatore ungherese bravino, che, a causa di un infortunio, divenne un eccelso e celebrato allenatore, prima, in quel di Milano, dell’Inter, e poi del Bologna, vincendo numerosi scudetti, lanciando il giovane Giuseppe Meazza,destinato a divenire massimo campione italiano e pubblicando il manuale di gran modernità “Il giuoco del calcio”.
Mentre i riflettori sono puntati sulle gesta del tecnico appassionato, che ha portato nell’incarico la sua empatia e si è speso al di là dei doveri, rivoluzionando il calcio, e intanto parimenti coltivando l’ambito familiare, in grande sintonia con la moglie Elena e i due figli, Roberto e Clara…la storia italiana e mondiale prosegue il suo corso…dalle leggi razziali,con strette e divieti .fino al baratro finale delle persecuzioni naziste,appoggiate dall’alleato italiano, variamente indirizzate a vittime ebraiche, zingari, omosessuali e altre categorie reputate inferiori.
Pur non abbracciando l’ortodossia ebraica, e avendo i coniugi Weisz deciso invece di battezzare la prole, furono, dopo anni di sofferta e vigile attesa, con allontanamento da Bologna e rifugio in Olanda, in un paesino poco conosciuto, nel 41, nel corso di un’incursione tedesca, tradotti in Polonia su treni carri bestiame e da lì separati, con la consorte e i figli, ritenuti improduttivi, mandati nelle camere a gas di Birkenau e l’ex allenatore, da tempo privato della possibilità di esercitare il mestiere amato, destinato al campo di lavoro di Auschwitz, dal quale non uscirà se non da morto nel 1944.
I rigorosi allenamenti lo avevano sadicamente preservato e quell’organismo rifiutava il cedimento, pur non avendo ragione alcuna di continuare a sussistere.
Risaltano due opposte pulsioni di Weisz, a far da contrappunto…l’amore per il calcio e, per così dire, lo sconcerto per la stupidità umana, dalla quale non riuscì a proteggersi adeguatamente.
I giornali che lo avevano osannato per i successi calcistici, abbandonano l’uomo braccato e le sue sorti non sono più oggetto di rilevanza giornalistica.
Italiani e Europei appaiono colpiti quasi indistintamente da uno strisciante antisemitismo, da una fastidiosa rimozione dei fatti durante la loro tragica occorrenza.
La lettura drammatizzata, che a tratti forse si dilunga, diviene spietata in quel continuo palleggio fra il campo di calcio e quello di sterminio, e riesce a restituire, nella pregiata resa drammaturgica, le ambientazioni dell’epoca, anche con rimandi alle incitazioni fasciste dai documenti di repertorio.
Una vicenda vibrante, che spiazza, che è stata per troppo tempo ignota, può riemergere dagli archivi, grazie alla meticolosa ricerca, anche presso l’Istituto Scolastico bolognese frequentato dal giovane Weisz e le memorie scaturenti dal carteggio toccante con l’amichetto del cuore, rintracciato dall’Autore.
La Grande Storia, nei suoi tratti più desolanti, abbraccia miriadi di minuscole – immense vicissitudini, che andrebbero adeguatamente ricostruite e divulgate, in special modo se di valore,come questa, giustamente restituita a futura memoria con gli accadimenti esistenziali e lavorativi di un essere umano ,che dagli altari del successo con il rapido volgere degli eventi,venne dimenticato e costretto all’esilio dalle brutalità guerrafondaie,degenerate in nefandi crimini,che gli costarono la stessa vita.