“Non le farò l’elenco dei sacrifici sostenuti durante il mio percorso professionale (una laurea e un’infinità di corsi e attestazioni da appendere con dignità al mio curriculum vitae) e di sofferenze familiari e personali attraversate in questo lasso di tempo.
La presente lettera aperta non vuole suscitare pietismo compassionevole, non fa parte della pubblicistica della cultura del lamento, di cui sono infarcite certe narrazioni sul nostro Mezzogiorno.
Una cosa però vorrei ribadirla: ho avuto spesso la possibilità di cambiare aria, avrei potuto abbandonare la mia terra, il mio mare, i miei tramonti. Ma se ce ne andiamo tutti, questo territorio, già sottoposto a devastazioni predatorie secolari, non potrà mai rialzare la testa, mi sono sempre detta. E l’ho ripetuto ancora adesso, più che mai determinata, per rivitalizzare la mia testardaggine anche nei momenti più cupi e avvilenti. Lo devo ai miei figli, in primo luogo.
Oggi più che mai, avverto però anche un sentimento di desolazione, misto a sconforto e sfiducia nelle Istituzioni, in tutte le articolazioni territoriali. Assisto a stucchevoli palleggi di responsabilità tra Enti e politici che fanno a gara di visibilità, in primo luogo sui social network, a fare proclami, senza avere piani di intervento ben definiti. Non mi sento rassicurata da chi tenta in ogni modo di fare finta che non ci siano problemi all’orizzonte e che andrà tutto bene, o vuole indurre me e i miei colleghi al silenzio. Anzi, tutto ciò fa aumentare la mia indignazione a livelli esponenziali.
Per i 40 lavoratori dell’hub aeroportuale le speranze di tornare al lavoro, quando avremo ‘preso le misure’ alla pandemia sembrano ridotte al lumicino. Vorremmo essere persuasi del contrario. Oggi non è possibile prenotare alcun volo da Reggio Calabria per qualsiasi altra destinazione italiana per un arco temporale indefinito e, quest’aspetto, tradotto in soldoni, significherebbe sancire la fine di un aeroporto, già boccheggiante. E’ come se fossimo stati usurpati del nostro diritto alla mobilità, unitamente a quello alla dignità. Approfittando perlopiù del favore delle tenebre del Coronavirus, per usare una locuzione del Presidente del Consiglio dei Ministri Giuseppe Conte. Con una lettera asettica siamo stati messi in cassa integrazione.
Capisco che di garanzie all’orizzonte ve ne siano ben poche, per milioni di lavoratori, ma chiudere un aeroporto o azzopparlo in maniera definitiva, equivarrebbe a lanciare un segnale di inequivocabile rassegnazione in una delle aree più depresse d’Europa, nonchè un messaggio di disattenzione da parte dello Stato nei confronti di un bacino di quasi un milione di abitanti, che si sentono atavicamente cittadini di serie B.
A seguito delle disposizioni introdotte dai vari decreti legge per il contenimento e la gestione dell’emergenza epidemiologica da Coronavirus, l’attività aeroportuale è completamente azzerata, bloccata. Come ribadito, sono perfettamente consapevole che la situazione di paralisi accomuna moltissime imprese su tutto il territorio nazionale, a livello globale e che l’Italia, soprattutto il Settentrione del Paese, abbia pagato un prezzo altissimo per questa emergenza di carattere sanitario.
E’ superfluo, per chi si è occupato di Svimez, sottolineare cosa rappresenti nella percezione globale e nella realtà effettuale vivere in una città problematica (eufemismo) e in un contesto caratterizzato da forti squilibri e da servizi ridotti all’osso, con lo strapotere tentacolare delle organizzazioni criminali e un clientelismo asfissiante, che impedisce qualsiasi forma di sviluppo. Sono altrettanto consapevole del fatto che non sia lei il titolare del Ministero competente (da quanto mi risulta, la sua collega del Ministero dei Trasporti è stata costantemente informata nei minimi dettagli sul caso), ma mi rivolgo a Lei, benché non titolare del ministro competente, in quanto da Ministro del Sud, ha mostrato di comprendere la complessità della partita in atto a queste latitudini, come manifestato in più occasioni. Che fare?. Con stima Maria V. Zagari”.