Un esame esaustivo degli effetti che la pandemia produrrà sul sistema economico e sociale del nostro paese è difficile da compiere; anche per il semplice motivo che la crisi è in corso d’opera e solo il tempo potrà restituirci un quadro completo della situazione. Dal punto di vista di chi studia i temi della Politica Economica, tuttavia, è possibile avanzare alcune brevi -anche se parziali- riflessioni su quelli che sono le questioni fondamentali che questo tempo pone alla nostra attenzione e che meritano analisi rigorose ed approfondite.
Questa crisi sarà studiata dalle future generazioni. E’ la più grave crisi dopo quella del 1929 e la fila di persone in cerca di cibo registrata nelle scorse settimane a Milano, e ripresa da tutti i media e le tv nazionali, ha richiamato alla nostra mente proprio le immagini degli anni ‘30 a New York. Questa crisi racchiude in sé contemporaneamente le cause delle tre precedenti recessioni: crisi da domanda (come appunto quella degli anni trenta), crisi da offerta (blocco delle attività produttive) come quella degli anni settanta caratterizzati dalla esplosione dei prezzi del petrolio), crisi finanziaria (come quella del biennio 2008-2009) di cui si colgono i primi segnali sui mercati finanziari e sulle oscillazioni dei titoli quotati in borsa, ma che non ha ancora dispiegato tutti i suoi effetti. Mario Draghi è intervenuto nei giorni scorsi anticipando che il peggio non è ancora passato e che le banche possono finire sotto tensione per via dei potenziali crediti che andranno in sofferenza.
È, inoltre, una crisi diversa dalle altre perché ad originarla non sono fattori economici e sociali ma una causa extra economica (sanitaria). Ciò genera, a sua volta, una profonda incertezza sui relativi tempi di uscita. Nonostante gli effetti annunciati dovuti all’erogazione del vaccino, il Governatore della Banca D’Italia ha di recente affermato che dovremo aspettare la fine del 2023 per veder ritornare il livello del PIL a livelli pre-covid.
Il riduzionismo non funziona; questioni globali necessitano di risposte globali. Il virus, lo abbiamo visto, non ha conosciuto confini e, atteso l’elevato grado di integrazione e di interdipendenza tra i diversi paesi, la crisi economica è diventata mondiale. Uno stato di crisi globale necessita risposte di politica economica coordinate a livello internazionale; in primo luogo tra quei paesi (Stati Uniti, Cina ed Europa) che insieme determinano l’80% circa della produzione mondiale, e poi, per quanto riguarda il nostro paese, a livello europeo.
Certo, ricorderete tutti, dopo una non brillante partenza con le affermazioni della Lagarde, l’Europa ha recuperato ed è stata all’altezza del compito ad essa affidata; difendere l’euro e l’economia degli stati europei. La Banca Centrale ha lanciato un piano di acquisto rinforzato per oltre 1100 miliardi di titoli del debito pubblico sui mercati finanziari secondari. La commissione ha varato diversi strumenti di prestito a tassi bassissimi per coprire spese sanitaria, cassa integrazione, prestato garanzia al sistema bancario per prestiti alle imprese, eliminato il vincolo del patto di stabilità.
L’Italia da sola, con la sua moneta, non sarebbe stata in grado di difendere il paese. Le operazioni colossali di creazione di denaro da parte delle banche centrali sono sostenibili senza il collasso del tasso di cambio, fughe di capitali, ed impennate dei tassi (come è successo recentemente in Argentina) solo con una Banca Centrale in grado di emettere una moneta considerata dai mercati come riserva globale.
La crisi economica e sanitaria quindi -e questo è il punto centrale- segna un’accelerazione nel processo di costruzione e di completamento dell’Unione Monetaria Europea (Riforma Fiscale) e sulla necessità di condividere un rinnovato paradigma economico e sociale (Green New Deal), rafforzare i sistemi democratici e selezionare una nuova leadership europea in grado di governare questo processo.
Continua…..
Michele Limosani