La riflessione

Limosani: “Lettera aperta ai cattolici spaesati…”

Di seguito l’intervento del prof. Michele Limosani

Siamo oggi di fronte alla scena di un tempo “incerto” nel quale, sia nelle scelte che riguardano la vita della polis che in quelle personali, non si fa più riferimento a visioni antropologiche in grado di aiutarci a cogliere il mistero dell’uomo, dare un senso alla sua vita e all’appartenenza ad una comunità; riferimenti necessari per porre un argine al dilagare di una pura logica di mercato in cui il denaro gioca un ruolo sempre più centrale nella produzione e distribuzione dei beni materiali. Si vive alla giornata e la nostra vita “appare sempre più il tempo del viandante, di colui che non ha un tetto sicuro” (Martin Buber).

Nella vita della polis, senza più confini e segnata da estreme diseguaglianze, si va affermando sempre più una filosofia di azione che assegna un ruolo marginale alla partecipazione dei cittadini alle associazioni, ai movimenti, alla vita politica e sociale; partecipazione che, secondo il principio della sussidiarietà, è lo strumento più idoneo a garantire la ricerca e la realizzazione del bene comune.

Una comunità, ancora, inerme di fronte alla “deriva democratica” che contrappone il leader alla piazza, l’elite al popolo e che lascia tutti noi esposti a sentimenti, passioni ed emozioni, che da sempre agitano il cuore degli uomini, ma che spingono verso la creazione di una società che cancella il singolo individuo e promuove l’anonimato delle folle. “La chiamano democrazia. Ma è una aristocrazia con l’appoggio delle masse”, saremmo tentati di dire con Platone.

Restiamo, poi, piuttosto impotenti dinnanzi all’uso diffuso di un linguaggio pieno di rancore, livore, irrispettoso, offensivo che sembra essere divenuto ormai regola nella comunicazione pubblica e politica, a scapito del linguaggio della ragione, della dignità, del rispetto.

Nell’incapacità di trovare il proprio posto nel mondo e di fronte alla complessità delle questioni, noi laici a volte avvertiamo un senso di spaesamento; la paura del futuro prende il sopravvento sulla speranza e ci rifugiamo nei “cenacoli” delle nostre comunità, in un silenzio che lentamente ci rende estranei alle dinamiche della polis. Sempre meno ci rivolgiamo alle coscienze degli uomini per richiamare ad un’umanità vagante il senso profondo del cammino sulla terra; per riaffermare, nell’agorà politica, i valori fondamentali del rispetto e della dignità dell’uomo senza essere trascinati nella lotta delle appartenenze.

Non basta lenire le ferite degli ultimi se non vogliamo essere scambiati solo per una ONG o un’associazione di volontari; occorre piuttosto ritornare ad ascoltare la voce dei nostri fratelli, sostenere il pubblico confronto, formare una coscienza critica e libera, educare alla ricerca del bene comune; richiamare continuamente i valori fondamentali della persona e della convivenza senza i quali nessuna comunità politica è in grado di sopravvivere. Servono le opere di carità. Ma serve anche il coraggio di tornare ad “annunciare con forza il mistero dell’uomo e cooperare con tutti nella ricerca di soluzioni ai principali problemi del nostro tempo” (Gaudium et spes).

Per questo è urgente avviare una riflessione comune sul tempo che ci è dato di vivere, una riflessione aperta e partecipata a tutta la comunità cristiana che vive sul nostro territorio, indipendentemente dalle appartenenze, dalle sigle e dalle “parrocchie”. Siano tutti interpellati nella chiesa “come Chiesa in una città”, scriveva S.E. Mons. Cannavò (Chiesa e Città nel segno della riconciliazione). Per una riconciliazione che porti pace e gioia nel cuore dei credenti e degli uomini di buona volontà, che camminano insieme e con fiducia animando la danza della vita in tutte le sue stagioni.

Michele Limosani