MESSINA – La recensione
Ai Magazzini del Sale di Messina, gestito dal Teatro dei Naviganti, una poliedrica Sabine Uitz crea e si fa interprete di uno dei pochi esemplari di homo sapiens sapiens immortalis, e si autodirige. Sophie Shoner o “del miraggio della lunga vita”, potrebbe definirsi la pièce, una complessa riflessione mai pesante, ma densa, che ha portato in scena le sconvolgenti performances di una scienziata tedesca, solitamente schiva, restia a mettersi in vetrina, che eccezionalmente si racconta, attraverso una sorta di relazione,a un suo pubblico immaginario, l’umanità stessa.
Il processo di invecchiamento, secondo la puntuale ricostruzione, trova il suo incipit all’età di 20 anni circa, dunque non appena ha avuto compimento quello di crescita. La protagonista, a 78 anni, apprendiamo, a un talk show aveva ascoltato le incredibili narrazioni del Club degli immortali, un piccolo gruppo sparso nel mondo. E, da pensionata irrealizzata nel precedente ciclo lavorativo, si era voluta mettere alla prova., affrontando a muso duro il generale e diffuso timore della fine dell’esistenza, in uno alla ricerca del senso da conferire alla vita stessa.
Sophie/Sabine ha in effetti l’aspetto di una cinquantenne, abbigliata semplicemente in bianco e nero e non sembrerebbe avere nulla di speciale,almeno “prima facie”, una normale routinaria vicenda umana,ascendenze comprese, ma la sua storia,da un certo momento in poi, lo diviene di certo…
Siamo di fatto al cospetto di una sorta di Dea, comunque rimasta vecchio stampo, che ha conquistato l’immortalità senza far ricorso a metodologie quali quelle in uso già nei nostri tempi, che saranno sempre più perfezionate nel futuro prossimo… ibernazione, farmaci che assicurano la lunga vita, costruzioni di Centri progettati per accogliere pochi superstiti di un mondo divenuto invivibile o distrutto, tutti processi forzati che,appare di tutta evidenza, non trovano il placet dell’artista Uitz, che li reputa folli.
Le scene possono definirsi davvero essenziali (come deve essere) con una sedia, un punto di appoggio e un video proiettore minuscolo,in funzione di uno schermo allocato in fondo al palcoscenico, ove sono passate le immagini correlate durante la narrazione di Sophie.
La rappresentazione ha trovato la sua “ratio” nel tentativo – riuscito – di far riflettere con leggerezza su tematiche cruciali- quali il significato della vita dell’uomo e il suo desiderio di incidere sulla comune realtà creaturale di finitezza, per superarne i limiti. Tematiche sulle quali le discipline più diversificate hanno da sempre provato a ragionare, con esiti differenti a seconda delle culture e dei periodi di riferimento. In letteratura, e solo a titolo esemplificativo, giganteggia Il Faust, nelle varie declinazioni,con il protagonista alle prese con Mefistofele,che lo induce in tentazione proprio con la promessa di una esistenza senza fine,conservando le sembianze giovanili…ed è ben noto come vada a finire.
La mise en scene, già pensata in epoca pre Covid- 19, si è poi dovuta confrontare con l’impensabile e distopico accadimento che, nelle fattezze di un banale corona virus, ha generato la funesta malattia contagiosa e sovente la morte. E la drammaturga ha dovuto rimodellare lo script, denominandolo “1.1” e permeando la sua visione di una sana ironia che le ha consentito di affrontare con modalità “leggere” il tema dei temi… il rifiuto del fine – vita e la diffusa tendenza ad esorcizzare la paura della morte con stratagemmi diversi, anche promuovendo percorsi assai esosi per inseguire la giovinezza imperitura.
Gli spettatori sono stati così trasportati in un universo scientifico – tecnologico, ove dalla ricerca sulle meduse, il sogno dell’immortalità, divenuto realtà, si è concretizzato nelle forme del personaggio rappresentato. Il corpo umano è stato indagato minuziosamente per svelarne il funzionamento, i segreti per mantenerlo in salute e integro (per quanto possibile) sperimentando tecniche adeguate per vincere sul tempo, e il timore della fine dell’esistenza ha fatto il paio con il tentativo di conferire senso alla vita stessa.
Il sentire di Sabine Uitz sulla tematica ha avuto voce attraverso le sagge parole orientali riferite, che attribuiscono all‘essere umano la capacità ,a livello intellettivo,di addivenire realmente alla conquista della esistenza immortale, senza essere,però, davvero in possesso della necessaria maturità per affrontare le sfide e gli interrogativi connessi.
Una produzione(di certo lontana dalla banalità) con Piccolo Centro di Produzione Artistica Casa Valle Sturara e Via Rosse. Dal 10 novembre la assai duttile artista austriaca terrà un workshop presso i Magazzini del Sale, titolato “Vocis Motus”, rinsaldando in tal guisa la sua interazione, datata, con la Compagnia “Teatro dei Naviganti”, e segnatamente con gli attuali direttori artistici, i bravissimi Mariapia Rizzo e Domenico Cucinotta, ai quali indirizzo ,parimenti, il più convinto plauso per la qualificata stagione teatrale 2022/2023 prospettata in programmazione.