Quello del 1929 fu uno degli inverni più rigidi dell’ultimo secolo su gran parte dei paesi del vecchio continente, inclusa l’Italia. In particolare il mese di febbraio, quando si realizzo una eccezionale ondata di gelo che invase l’intero continente europeo, paralizzandolo sotto “badilate” di neve e temperature glaciali, piombate anche sotto il muro dei -35°C sul comparto orientale. Proprio nel mese di febbraio, una serie di nuclei di aria molto gelida, in movimento retrogrado dalla regione degli Urali e dalle pianure Sarmatiche verso l’Europa centrale, causarono un drastico calo dei valori termici su buona parte dell’Europa.
Anche l’Italia subì notevoli effetti, venendo interessata da veri e propri “blizzards” che seppellirono interi paesi (soprattutto quelli del versante orientale della dorsale appenninica), fin dalle aree costiere. Quell’evento costituì l’ondata di gelo più forte d’inizio Novecento, paragonabile solo all’ondata di freddo del 1956 e all’inverno 1985.
Ma sia il 1956 che 1985 non riusciranno mai ad eguagliare l’impressionante estensione temporale e geografica del 1929. Quella configurazione fu davvero irripetibile. Allora l’ondata di gelo cominciò a realizzarsi ad inizio gennaio, quando le temperature cominciarono a farsi sempre più rigide in tutta Europa. Il gelo protrattosi per tutto gennaio comincio a raggiungere il proprio picco nella prima metà di febbraio, quando quasi l’intera Europa era divenuta una grande ghiacciaia, con temperature largamente negative ed una continua spinta di masse d’aria molto gelide retrograde, che dai bassopiani siberiani occidentali e dalla Russia europea si muovevano di gran carriera fino all’Italia e all’Europa centro-occidentale, dispensando persistenti nevicate.
Tanto per dare dei dati di quella storica invernata Praga, l’attuale capitale della Repubblica Ceca, chiuse quel mese con una media incredibile di -13.7°C. Ma anche in Italia fece molto freddo. Il 13 Febbraio 1929 a Parma nevicò tutto il giorno con una minima di -13.0°C e una massima di –10.5°C. Nella città Emiliana caddero poco più di 80 cm di neve fresca. A Firenze caddero fino a 60 cm di neve, mentre a Venezia si congelò la laguna per l’ultima volta, con temperature minime di -10°C e massime di -8°C.
A Messina, nel mese di febbraio, ci furono delle nevicate che lasciarono accumuli anche abbondanti, con depositi fino a oltre 10-15 cm a livello del mare (nel 2014 furono fra i 2 e 5 cm). Se già in città il manto bianco superava i 10-15 cm sui villaggi collinari gli accumuli arrivavano fino a 40-50 cm per superare abbondantemente il metro sui colli che sovrastano la città. Il manto nevoso era talmente spesso da favorire persino, nelle giornate più ventose, il fenomeno dello scaccianeve basso, ossia i turbini di neve che vengono sollevati dal vento, un evento atmosferico davvero inedito per il mite clima dello Stretto. Ancora oggi molti anziani ricordano quelle grandi nevicate di quei giorni e i tantissimi danni economici che causarono al settore agricolo. Nei villaggi notevoli furono le ripercussioni nei raccolti e nelle piantagioni di agrumi che rappresentavano una delle principali fonti di sostentamento dell’economia locale.
Il suolo innevato favori anche temperature molto basse per diversi giorni, tanto che nelle zone interne come nei sobborghi e lungo i paesi collinari, il termometro scendeva abbondantemente sotto gli 0°. In città le temperature registrate dall’osservatorio meteorologico, posto in pieno centro, non scivolavano mai sotto i -0.1°C. Per Messina si trattò di un evento meteorologico di portata storica, che si rivide per l’ultima volta solo durante l’ondata di gelo del marzo 1949, quando per ben tre giorni di fila, la città dello Stretto venne interessata da forti nevicate, con la colonnina di mercurio scesa sotto i -0,2°C, l’attuale record di freddo del Novecento per il capoluogo peloritano.
In quell’annata l’inverno risulto particolarmente rigido fin dalla fine del Dicembre 1928, con temperature largamente negative sulla Russia e su tutta l’Europa settentrionale e orientale, causa un innevamento molto esteso e precoce sulle sterminate lande euro-asiatiche che determinò un fortissimo raffreddamento (“pellicolare”) degli strati prospicienti il suolo. Ma la vera origine è da ricercare in un eccezionale “Major Stratwarming” che si andò a realizzare sopra l’Artico nelle settimane antecedenti all’incredibile ondata di gelo. L’anomalo riscaldamento della stratosfera fu talmente potente da estendersi in poco tempo sulla sottostante troposfera, provocando un rapido aumento della pressione nell’Artico, con la conseguente rottura in più pezzi del vortice polare.
Nel Gennaio del 1929 si venne a realizzare proprio quanto appena descritto. Gli effetti di quel “Major Stratwarming” generarono una determinata configurazione barica, nota ai meteorologi europei come il “Ponte di Weikoff”. Il “Ponte di Wikoff”, prende il nome dallo scienziato russo che lo studiò per la prima volta. Si origina solo quando l’alta pressione delle Azzorre, per una sua pulsazione dinamica interna, si erge con i propri elementi, verso nord-est, in direzione della Scandinavia (dove spesso isola un “CUT-OFF” anticiclonico in quota), per congiungersi con le propaggini più occidentali dell’anticiclone termico Russo, che dagli Urali si affaccia verso la Russia europea e il mar Baltico. L’unione fra le due differenti figure anticicloniche crea un grande ponte anticiclonico, con asse orientato da sud-ovest a nord-est, che dal vicino Atlantico si estende fino alla Russia europea e ai bassopiani siberiani (oltre gli Urali), favorendo il richiamo delle masse d’aria molto gelide preesistenti sopra le lande ghiacciate siberiane.
L’aria gelida, di origine siberiana, scorrendo lungo il bordo più meridionale della poderosa figura di blocco anticiclonica, dai bassopiani della Siberia occidentale, e nei casi più estremi, pure dalle innevate steppe del Kazakistan e dal cuore della Siberia centrale, si muove verso le pianure della Russia europea, per poi invadere l’Europa centro-orientale, prima di finire sul Mediterraneo, attraverso i gelidi venti di tramontana e grecale.