Il mese scorso, poco prima dell’avvento delle vacanze natalizie, vi avevamo parlato dell’affascinante fenomeno dello “stratwarming” e sulle conseguenze che esso può avere sulla stagione invernale. Questo anomalo e intenso riscaldamento della stratosfera terrestre, sopra la regione artica, quando si propaga verso la troposfera, nello strato atmosferico sottostante alla stratosfera, può produrre una rottura o separazione (detto “split”), in due o più “lobi”, del vortice polare.
L’intenso surriscaldamento, che interessa la parte bassa della stratosfera, tende inevitabilmente ad estendersi verso il basso, interessando pure l’alta troposfera. Proprio qui il sensibile aumento termico, che scivola dalla stratosfera, produce un forte aumento dei valori di pressione, che si estende ulteriormente verso il basso, andando così a destabilizzare la figura del vortice polare, la quale, di tutta risposta andrà a spaccarsi in due o più “lobi”, in movimento verso le medie latitudini, fra l’Asia settentrionale, il nord America e l’Europa. Andando alla deriva, fra l’America settentrionale, l’Europa e l’Asia centro-settentrionale, i vari “lobi” del vortice polare, ormai frantumato in più tronconi dalla potente circolazione anticiclonica instaurata sopra il Polo Nord, tenderanno ad arrecare condizioni di intenso maltempo, con nevicate diffuse e un consistente calo termico nelle aree maggiormente interessate.
I vari “lobi” secondari del vortice polare, scivolando verso le medie latitudini, vengono alimentati dal costante afflusso di masse d’aria molto gelide, d’estrazione artica, pilotate dal robusto anticiclone artico che si va a collocare, temporaneamente, al di sopra del mar Glaciale Artico, con massimi barici che spesso possono oltrepassare i 1040-1050 hPa. Queste sono le condizioni adatte anche per l’attivazione dei cosiddetti flussi retrogradi (o antizonali), che trasportando le masse d’aria molto gelide, di natura continentale (“freddo pellicolare” siberiano), dalle pianure Sarmatiche fino al cuore dell’Europa, tramite il gelido soffio dei venti dai quadranti nord-orientali (bora, tramontana e grecale in Italia).
Al momento i primi segnali di questo grosso riscaldamento li vediamo in stratosfera, con il vortice polare già fortemente indebolito che tende a coricarsi in direzione dell’Europa, facilitando l’arrivo delle ondate di freddo in direzione del vecchio continente. Ma l’indebolimento del vortice polare sta anche favorendo un graduale allentamento del “gradiente barico orizzontale” (differenza di pressione e temperatura) fra latitudini artiche e fascia sub-tropicale, che tiene vivo il flusso occidentale sul nord Atlantico, con venti occidentali impetuosi che dal nord degli USA e dal Canada orientale si dirigono a gran velocità verso l’Islanda, l’Europa occidentale e la Scandinavia.
Il venir meno di queste forti differenze di pressione e temperatura si sente maggiormente alle quote superiori della troposfera, con l’indebolimento della corrente a getto che fuoriesce dal continente nord-americano. Tale rallentamento del “getto polare” agevola, a sua volta, la formazione di grandi ondulazioni troposferiche, su larga scala, che dalla fascia sub-tropicale si estendono fino alla regione artica, favorendo la discesa di ampi blocchi di aria fredda, che dal mar Glaciale Artico si versano verso le medie latitudini, mentre ad est dell’avvezione fredda sovente si generano intense rimonte calde sub-tropicali (come quella che ci interesserà giorno 9), pronte a dirigersi fin sulla regione artica, con ripercussioni che possono avvertirsi pure sopra il mar Glaciale Artico.
In queste condizioni il “getto polare”, divenendo sempre meno intenso, mantiene un andamento abbastanza ondulato, con lo sviluppo di importanti onde troposferiche, note come “onde di Rossby”, estese per centinaia di miglia, le quali tendono a muoversi progressivamente da ovest verso est, condizionando l’andamento meteo/climatico fra America settentrionale, Europa e Asia centro-settentrionale. Sono proprio queste ampie ondulazioni, prodotte da un sensibile rallentamento di velocità del ramo principale del “getto polare”, a produrre le ondate di freddo fra Stati Uniti centro-orientali, Europa e Asia orientale. Se da una parte le ondulazioni troposferiche riescono a costruire grandi “blocking” (anticicloni di blocco distesi lungo i meridiani che fanno da barriera al flusso delle correnti occidentali), specie tra nord Pacifico e Atlantico settentrionale, capaci di riversare importanti ondate di freddo verso le medie latitudini. Dall’altra (lungo i bordi occidentali di questi anticicloni di blocco, preferibilmente posizioni in mezzo gli oceani) si innescano imponenti avvezioni di aria decisamente più mite e umida che risalgono fino alle latitudini sub-polari, generando brusche scaldate, con flussi di aria molto mite che arrivano a convergere fin sul mar Glaciale Artico, destabilizzando dall’interno il vortice polare troposferico, che si smembra in più “lobi” (vortici depressionari colmi di aria molto gelida a tutte le quote) pronti ad andare alla deriva verso latitudini più meridionali (influenzando da vicino le condizioni meteorologiche sulle medie latitudini con frequenti ondate di freddo).
Queste dinamiche innescano una sorta di circolo vizioso, all’origine di una severa recrudescenza dell’inverno lungo le medie latitudini, che dovrebbe vedersi già a partire dalla seconda decade di gennaio. Già i vari modelli matematici, nelle loro tendenze verso la fine di gennaio, iniziano a ipotizzare un brusco raffreddamento di tutta l’area europea centro-orientale, dove si isolerà un primo “serbatoio di aria gelida”, pronta a scivolare sul Mediterraneo non appena sui mari attorno l’Italia si svilupperà la giusta depressione, pronta a risucchiare tutta quell’aria fredda e densa verso le nostre regioni. Da non sottovalutare pure l’aumento dell’indice “NAO” (“oscillazione nord atlantica”), su valori neutrali o leggermente positivi, che in genere agevolerebbe l’arrivo del freddo dalla porta balcanica, con interessamento diretto delle regioni adriatiche e del sud.