Messina – L’inchiesta sfociata negli arresti domiciliari del presidente della Regione Liguria Giovanni Toti riaccende il dibattito sulla mancata regolamentazione del lobbyng in Italia. Intanto a Messina i giudici depositano le motivazioni della sentenza d’appello sul caso Emilia Barrile, uno dei primi in Italia a vedere applicato il reato di traffico di influenze illecite, strettamente collegato sul piano penale all’aspetto delle lobby.
Malgrado i moltissimi disegni di legge presentati in Parlamento, l’Italia non ha ancora una normativa unitaria e adeguata al lobbismo. Recentemente l’ex ministro Brunetta si è detto favorevole all’istituzione di un registro delle lobby presso il Cnel ma null’altro si è mosso. Intanto il reato di traffico di influenze illecite è sotto i riflettori del ministro della Giustizia Carlo Nordio, che ne ha inserito l’abrogazione o l’adeguamento tra gli obiettivi delle recenti riforme in corso. In giurisprudenza l’applicazione del reato ha avuto un percorso travagliato e la più recente pronuncia di Corte di Cassazione, considerata unitaria, è arrivata dalle Sezioni unite pochissime settimane fa, con la sentenza 19357/2024, che fa luce sulla continuità normativa con il reato di millantato credito.
A Messina la mancata normativa sulle lobby ha influito sul processo all’ex presidente del Consiglio comunale Emilia Barrile, condannata in appello a 3 anni e 8 mesi, alla fine del novembre scorso, e assolta per quasi tutte le accuse contestate. Il nodo del verdetto è proprio il reato di traffico di influenze. Il perché lo spiegano i giudici della Corte d’appello nelle motivazioni depositate in questi giorni (leggi qui )