Nella notte fra il 10 e l’11 giugno del 1980 si consumava a Nicotera – dal 1992, in provincia di Vibo Valentia – il primo omicidio politico mai verificatosi in Calabria. Sono passati 41 anni da quando la ‘ndrangheta assassinò Peppe Valarioti, consigliere comunale e segretario del Partito comunista a Rosarno. Un quarto di secolo prima del delitto Fortugno, per dire.
Una figura indimenticabile, quella di Valarioti, che crebbe accanto a compagni di strada valorosi e che per molti anni in sèguito seppero dire molto bene la loro: uno su tutti, Peppino Lavorato, rosarnese come lui, a più riprese sindaco di Rosarno e anche parlamentare del Pci. Ma risultano parimenti indimenticabili le circostanze in cui Valarioti trovò la morte: sùbito dopo aver festeggiato in un locale di Nicotera – praticamente appiccicata a Rosarno – la vittoria elettorale.
Che incoronava il Partito comunista quale primo partito a Rosarno, sia alle Regionali sia alle contestuali Provinciali. Ma solo dopo una serratissima campagna elettorale tutta incentrata sul contrasto alle ‘ndrine. L’auto di Lavorato era stata data alle fiamme, come pure i clan tentarono – non riuscendoci – d’appiccare il fuoco alla stessa sede medmea del Pci. Senza contare intimidazioni “minori” e minacce continue.
Anche per questo, la sconfitta dei clan alle urne – più ancòra che la vittoria comunista – fu clamorosa.
Ma già nel 1975 Valarioti aveva pubblicato un saggio sulla questione meridionale, ferita – ahinoi – tuttora aperta. E aveva guidato i processi cooperati visti delle “Leghe per l’occupazione”, anche attraverso la cooperativa Rinascita di Rosarno. Una realtà da mille soci (in neppure dieci anni) in rappresentanza di oltre 2.500 ettari d’agrumeti. Secondo alcuni, il vero motivo della morte di Peppe Valarioti, perché quella realtà era ormai nel mirino dei clan Pesce e Bellocco.
Del resto, grazie agli agricoltori rosarnesi, il direttore della cooperativa Fausto Bubba in quelle stesse ore era stato eletto consigliere regionale.
Appena usciti dalla trattoria La Pergola, mentre Valarioti stava aprendo lo sportello della sua auto, due colpi di lupara alla schiena. A esploderli sicari che si sarebbero trovati a bordo di una 127 verde acqua targata RC 2266**, testimoniò chi era con lui. Disperata la corsa verso l’ospedale di Gioia Tauro, ma Valarioti spirò ancor prima dell’ingresso nella città gioiese.
Le ‘ndrine e interessi torbidi in realtà mai definitivamente chiariti ci privarono così di un formidabile dirigente politico. E in testa rimbombano le parole che ebbe a scrivere un cronista eccelso, Giorgio Bocca: « È questa punizione dei migliori che incontro in ogni luogo del profondo Sud ad angosciarmi, questa umiliazione continua degli onesti, questo tradimento dello Stato verso i suoi cittadini migliori».