L’ex ministra all’Istruzione Lucia Azzolina è autrice del libro La vita insegna. Dalla Sicilia al ministero il viaggio di una donna che alla scuola deve tutto, Baldini+Castoldi, con prefazione di Liliana Segre. Di recente presentato a Messina, il racconto biografico della parlamentare 5Stelle, nata a Siracusa, si concentra sulla centralità della formazione scolastica come forma di emancipazione sociale e culturale, partendo dalla sua storia personale perché «parlare della mia infanzia significa dimostrare come la scuola possa essere un ascensore sociale», sottolinea.
Onorevole Azzolina, per lei che cosa è la scuola?
«Un modo di vivere, prima di tutto. A scuola si impara la convivenza civile, l’impegno, l’inclusione, il rispetto delle regole. Se posso, con un gioco di parole rispetto al titolo del mio libro, le dico che la scuola ti insegna a vivere.»
Perché raccontarsi in un libro?
«La scuola, sotto il mio mandato da ministra, è tornata al centro del dibattito. E lì deve restare. Il libro nasce per raccontare il primo anno di pandemia e per capire come uscirne con scuole migliori di prima. Dopo anni di tagli selvaggi il Paese deve tornare ad investire. Le famiglie questo lo sanno, la politica ancora non l’ha capito. I cenni autobiografici nel libro sono funzionali a questo racconto.»
Che cosa rappresenta per lei Liliana Segre, che firma la prefazione?
«Un grande onore prima di tutto. Ho conosciuto Liliana prima di diventare ministra e l’ho subito amata. Ogni commento è superfluo rispetto allo spessore della persona. Quello che posso ricordare è che Liliana ha dedicato una vita intera ai ragazzi, incontrandone migliaia nelle scuole per raccontare il suo viaggio all’inferno. Le sue parole di umanità hanno cresciuto una generazione.»
Che cosa deve avvenire perché la scuola diventi strumento reale d’integrazione?
«Per me è stato così. Una condizione umile di partenza non mi ha impedito di costruirmi un futuro. Tutto grazie alla scuola. Questo è il senso di ascensore sociale. Ci sono territori in questo Paese in cui bambini riescono a fare un pasto completo solo se vanno a scuola. La politica in primis deve averne consapevolezza. La ricetta è una e una soltanto: investire. Fino a poco tempo fa, al contrario, la scuola veniva usata come bancomat.»
Nella parte finale, lei delinea i cambiamenti necessari in campo scolastico per il futuro…
«La premessa è che le risorse del Pnrr aprono davvero a una possibilità di grande rinnovamento. Sono orgogliosa di aver scritto il progetto Istruzione finanziato dalla Ue. Riassumo così gli interventi principali da mettere in campo: servono più asili; serve più digitale in classe, anche per parlare lo stesso linguaggio dei ragazzi; formazione costante dei docenti che vanno selezionati per merito; middle management, cioè nuove figure professionali perché i docenti oggi hanno troppi impegni e invece devono dedicarsi solo alla didattica; investire sulle scuole professionali e gli Its, in grado di avvicinare gli studenti al mondo del lavoro; potenziare l’insegnamento delle materie Stem, cioè le discipline scientifiche; e poi l’edilizia: servono più scuole, più accoglienti e più sicure.»
Lei ha la scorta: una donna in politica subisce spesso attacchi violenti e sessisti. Cambiamento giuridico, sociale e culturale devono procedere insieme?
«Nel libro parlo di un Paese avvelenato, per colpa di una parte politica che ha usato la pandemia – e la scuola in particolare – solo per fare consenso, e anche a causa di una deriva scandalistica di alcuni media. In questo clima essere donna è ancora più complicato. Io ho subito attacchi fin dal principio solo per il colore del mio rossetto. Da quel giorno ho deciso di non toglierlo più. C’è una proposta di legge a cui ho lavorato sull’educazione all’affettività nelle scuole. Ma le leggi da sole non bastano, serve un rinnovamento culturale che parta proprio dalla scuola. E poi c’è solo una cosa da fare di fronte ad un insulto e un’aggressione: denunciare.»