Coronavirus

Ludovica, 14 anni: “Dissi o muoio per anoressia o mi suicido. Ho scelto la vita”

A un certo punto, quando pesavo 36 chili, ho detto: o muoio per anoressia o mi suicido. Poi ho deciso che dovevo essere felice per me. Oggi sono libera dai pensieri, sono felice, mi sento bella, amo il mio fisico. Ogni sera guardo il cielo stellato e immagino che anche io un giorno potrò brillare come una stella”. Ludovica (ndr. nome di fantasia) bella lo è davvero, occhi intensi incastonati in un volto mediterraneo, una cascata di capelli color del sole. Ha 14 anni, ma è già stata all’inferno ed è tornata. Da sola, con la sua stessa forza di volontà.

14 anni, 34 kg

Quando è arrivata al Policlinico di Messina, reparto di neuropsichiatria infantile, pesava 34 kg, ma aveva deciso che sì, lei doveva vivere, e quel mostro che le stava divorando il corpo, devastando la pelle, rendendola vecchia, non avrebbe vinto.

Voglio vivere

Io ho un sogno e se voglio realizzarlo devo essere viva. Ho capito che dovevo pensare a me stessa. Ho degli obiettivi e se voglio raggiungerli devo vivere. Non potevo chiuderla così. Se credo in me stessa le mie non possono essere parole al vento. Se studio le lingue e mi voglio iscrivere all’università allo stesso modo devo fare di tutto per essere viva”.

Voglio fare l’hostess

Ludovica il sogno ce l’ha sin dal giorno in cui, a 12 anni, è salita su un aereo: diventare hostess, volare, viaggiare, guardare il mondo. Con caparbietà ha già deciso quali saranno i suoi studi alle scuole superiori e quale facoltà universitaria scegliere. Per le lingue inizierà con l’inglese e il tedesco. Le altre verranno dopo.

Tutto è iniziato nel 2019

Il momento più brutto è stato con il lockdown e poi con la seconda ondata, ma le crepe nel suo soffitto stellato sono iniziate sul finire del 2019, quando è andata a vivere con alcuni parenti a Milano. Nel cuore aveva già una pena: la mamma. Lei mi capisce, mi ascolta, mi dà i consigli giusti. Io voglio stare con lei, adesso sono con lei, ma all’epoca no. E mi mancava tantissimo. Mi mancava la mia casa, la mia città”.

Il periodo a Milano

Quell’anno Ludovica ha studiato duramente, ma la vita a Milano, lontano dai suoi affetti è un mondo diverso. Le sue compagne di scuola si truccavano, uscivano con gli amici, avevano altri ritmi di vita. E poi c’era la questione del cibo. I suoi parenti la facevano mangiare, la vedevano magra, la spingevano ad un regime alimentare che non era il suo.

Non mi sentivo accettata

Mi mancava la mamma, la mia casa invece per i miei parenti il problema era quanto mangiavo. Non mi sentivo accettata. Le mie amiche facevano diete io chiedevo almeno di avere un’alimentazione sana. Invece delle merendine mangiare frutta. A un certo punto sono arrivata a pesare 59 chili e mezzo. E’ stato così che dentro di me è iniziata ad aumentare la rabbia. Non la facevo uscire, era dentro di me e mi sfogavo facendo ginnastica, allenandomi”.

La sofferenza nel cuore

In Italia stava per arrivare il covid ed il lockdown e Ludovica si teneva stretta dentro il cuore tutta la sofferenza, che si tramutava in rabbia perché non poteva parlarne con nessuno. Anche gli assistenti sociali alcune domande “chiave” non le facevano e per di più i colloqui avvenivano davanti ai parenti, vanificando quindi qualsiasi possibilità di dire effettivamente quel che provava.

Non si son chiesti perchè

Per tutti il problema è se io mangio o no. Non si sono mai chiesti: PERCHE’. Nessuno si è mai chiesto qual era il problema che mi spingeva a non mangiare più”. All’inizio Ludovica inventa una dieta fai da te, che unisce ad allenamenti sfiancanti. Per andare a scuola doveva prendere mezzi pubblici e camminare tanto. Poi, una volta a scuola approfittava delle ore di educazione fisica per continuare ad allenarsi. Le amiche le dicevano di stare attenta ma lei mangiava persino di meno rispetto alla dieta. Così ha iniziato a dimagrire. Tanto. Ma per Ludovica non era abbastanza. Poi è arrivato il lockdown e tutta Italia è rimasta chiusa in casa.

Lockdown devastante

E’ stato terribile. Dormivo tutto il giorno, piangevo, ero caduta in depressione. Non potevo più allenarmi. E i miei parenti mi dicevano: mangia così torni come prima. Ma io non volevo tornare come prima. Pesavo 54 chili e mi dicevano: sei sottopeso, ma io mi sentivo giusta mica magra. E comunque volevo tornare assolutamente a casa. Il cibo per me non era importante, io volevo tornare a casa”.

Allo specchio non mi piacevo

Si guardava allo specchio e non si piaceva. Nell’estate del 2020 a casa ci è tornata. Dai nonni. E’ tornata a casa dove però tutti continuavano a dirle che doveva mangiare. “Non capivano che ormai per me anche mangiare un paio di cucchiai di pasta era un problema. Poi mi dicevano mangia la carne, la salsiccia, il ragù. Tutti guardavano al mio corpo, al mio aspetto”. Lei però aveva trovato la sua regola: mangiare poco e allenarsi tanto. Tantissimo. Così quando si è trattato di tornare a Milano i parenti le hanno detto chiaramente che non avrebbe più dovuto fare allenamenti.

Facciamola finita

Mi hanno minacciato, mi hanno detto, adesso che torni a Milano devi smettere di allenarti. Io ho pensato: bene, allora facciamola finita. Non posso stare con mia madre, non posso allenarmi, tanto vale farla finita. Ho escluso tutto il cibo. In due mesi ho perso dieci chili, sono arrivata a 45 chili. Non volevo far vedere che mangiavo solo perché me lo imponevano. Così un giorno gli ho detto: o muoio per anoressia o per suicidio”.

Il ritorno a casa

E’ stato così che è riuscita a tornare a casa dai nonni nuovamente. In aereo, e quando lo ha preso pesava 36 chili e mezzo. Era il 2 novembre e la situazione stava precipitando.

Volevo stare sempre più male

Anche stavolta i nonni mi volevano far mangiare di tutto, ma già era un peso per me mangiare un sofficino. Ero diventata brava a escludere il cibo. Se mi davano un uovo gettavo il rosso senza farlo vedere, o il bianco. Volevo stare sempre più male per chiuderla per sempre. Non apprezzavano gli sforzi che facevano. Non capivano che io al Nord ero arrivata a bere solo tisane e quindi anche 60 grammi di pastina per me adesso erano un traguardo”.

Il Policlinico

A quel punto l’unica via d’uscita è stato l’ospedale, il reparto di neuropsichiatria infantile del Policlinico dove è iniziata la sua seconda vita.

Mi vedevo brutta

I primi tre giorni sono stati terribili. Mentre entravo mi dicevo, ora mi metteranno un sondino per nutrirmi, resterò chiusa un anno, non mi faranno mai più rivedere la mia mamma. Invece non hanno fatto questo. Prima mi hanno parlato, hanno ascoltato quel che volevo dire. Ho iniziato a sbloccarmi. Ormai mi vedevo brutta. Invecchiata. Non riuscivo più a parlare. La mia pelle stava diventando nera, quando mi lavavo andava via in squame, io prendevo la spugna per toglierla, come quando le cellule diventano vecchie. Avevo le rughe. Un giorno ho chiesto: ma se ricomincio a mangiare la pelle mi torna come prima? Ringiovanisco? Mi sentivo brutta e invecchiata”.

La gioia di vivere

In quel reparto Ludovica ha riscoperto la gioia di vivere, di essere sé stessa. Ha stretto legami, ha iniziato a fidarsi degli altri, dei medici, degli infermieri. Ha tenuto duro anche quando è stata trasferita a Taormina per un intervento chirurgico. E lentamente ha deciso di vivere.

Ho deciso di essere felice

Ho visto che tutti sono stati felici per me. Prima mi sembrava di deluderli, adesso invece ad ogni mio traguardo erano tutti felici per me. Soprattutto io ero felice per me stessa. Ho deciso di essere felice io. Ho fatto amicizia con una ragazza in reparto. Ci siamo aiutate tra noi. Ad esempio quando sono riuscita a mangiare una galletta di riso e poi la fetta biscottata al mattino. E poi i cornetti…..O il traguardo di poter mangiare una baby pizza. Lei mi diceva: rinasci per te stessa, sei di una bellezza esplosiva, devi farcela. Lei mi aiutava e io volevo ringraziarla, e per farlo usavo il cibo, la ringraziavo col cibo”.

La rinascita

Adesso l’inferno è alle spalle. Ludovica si sente bene col suo corpo, nel suo corpo e ha davanti il suo futuro da hostess. Si è iscritta alle superiori, ha già deciso dove farà l’Università. E’ con la sua mamma.

Brillerò come una stella

Mi sento bella per me stessa. Non più quei pensieri, mi sento libera dai pensieri, sono felice. Sono già andata al mare e non m’importa se sono osservata. Ho capito che mi guardano perché tutti si guardano, e poi, comunque la gente ha sempre qualcosa da dire. Io sto bene, non sono anoressica, sto studiando per diventare hostess e girare il mondo. Alle altre ragazze dico sbloccatevi perché non ne vale la pena. E ogni sera guardo le stelle e so che io brillerò come una di loro”.

Quel grido d’aiuto

Ludovica, 14 anni, brilla già come la più grande delle stelle, il sole. Ha toccato il buio più profondo ma ha trovato la forza di aprire le finestre. Ha incontrato chi ha ascoltato il suo grido. Lei voleva essere ascoltata. Il cibo era diventato il suo grido d’aiuto. “Mi dicevano mangia, non si chiedevano perché soffrivo”.

Le nostre responsabilità

Ludovica diventerà hostess, e magari un giorno sorriderà ad una dodicenne che come lei, nel suo primo volo sognerà di fare il suo stesso mestiere. Ludovica ha deciso che no, non l’avrebbe fatta finita. Ha scelto la vita. E ancora una volta la sua storia di adolescente c’insegna che dobbiamo tornare ad essere comunità ad essere noi quel primo albero al quale i nostri figli si appigliano per non scomparire tra i flutti. Dobbiamo essere quella scialuppa dalla quale impareranno a nuotare da soli. Sapendo che noi li guardiamo.