La mia prima diretta elettorale l’ho fatta con lui. Eravamo a Telespazio, è durata 48 ore di fila e lui, Mino Licordari non si è fermato un attimo. C’erano le lavagne alle pareti e ricordo che gli studi si affollavano dei vari eletti. All’epoca non era tutto “cotto e mangiato”, niente computer, così Mino, insieme all’indimenticata Mariella Ardizzone, prima di mandarmi in onda fece una lunga serie di riunioni per spiegarmi il metodo d’hondt con carta e matita (giuro, esiste, e lo devo a loro se ancora oggi sono in grado di capire i meccanismi delle menti contorte che fanno le leggi elettorali). Devo a lui tante cose, perché Mino Licordari, per tanti l’avvocato, per tutti il papà e maestro della Tv messinese, aveva un modo speciale per fare sentire speciali quelli che di volta in volta si affidavano a lui per apprendere i rudimenti di un mondo, quello televisivo che è completamente diverso dalla carta stampata. Riusciva a stare 48 ore di fila davanti alla telecamera per una diretta elettorale, ma anche a far innamorare del Messina anche un fanatico di ciclismo quando gridava “gol, gol” nelle telecronache da trascinatore, o quando nei talk show sapeva essere cordiale, ironico, pungente, sempre attento all’anima. Noi eravamo tutti alle prime armi e lui mi ha insegnato a saper stare davanti alla telecamera ma anche dietro, per fare quel lavoro di “fatica” che c’è dietro ogni trasmissione e che nessuno immagina. Mino Licordari è la Tv messinese, sin dai tempi della sua Rtp. Abbiamo lavorato insieme a Telespazio, quasi 30 anni fa, poi ci siamo ritrovati a Telecolor ed ancora a Televip, quando per la prima volta la fatica di una vita piena di entusiasmo, impegno, sorrisi e dolori, l’ho ha colto di sorpresa, un bruttissimo pomeriggio in redazione, con un malore che poi ha cercato di farci dimenticare, sorridendo, rientrando dall’ospedale. Per chi fa il giornalista oggi è difficile comprendere il valore di un maestro, anche se poi litigavamo, anche se poi abbiamo preso strade diverse, modi diversi di fare questo maledetto mestiere. Di Mino ricordo le meticolose preparazioni di ogni trasmissione, sia d’intrattenimento che di calcio, ma anche il suo saper fare squadra e valorizzare i piccoli pregi di ognuno di noi. Ricordo la grande umiltà, lui, volto storico e affermato di Rtp e firma di prestigio del Corriere dello sport nel non sentirsi mai arrivato ma nel voler sempre arrivare. La curiosità che è la base per chi vuol fare il giornalista. Ricordo anche il saper trasformare la cucina di casa sua in vere e proprie riunioni di redazione e allo stesso tempo il mettere a soqquadro uno studio tv per farne una tavolata pre-natalizia. In qualsiasi cosa è stato un precursore, sia che si parlasse di calcio che d’intrattenimento che di politica. A Vip uscì dal cilindro una trasmissione in periodo di Natale che riuscì alla grande nonostante le nostre perplessità da “giornalisti di cronaca”, che guardavano ormai con occhi da “impegnati” quella che invece fu una grande trasmissione quotidiana. Ovunque andasse per lui la famiglia era la redazione e viceversa. E se doveva mandarti a quel paese o darti un insegnamento lo faceva con la stessa leggerezza. Il primo “Buongiorno Messina” a Telespazio, l’ha voluto lui, con la telecamera messa nella terrazza dell’edificio di via La Farina che inquadrava lo Stretto, i proverbi, la cucina, l’oroscopo. Eravamo tutti giovani esploratori di una realtà che oggi sembra archeologia ma che senza di lui non ci sarebbe mai stata. Il suo era un modo di fare giornalismo anche irriverente ma nel contempo elegante. A noi che oggi siamo quasi “la vecchia guardia” ha insegnato tanto ma soprattutto ha insegnato a osare, a sperimentare a non fermarci mai, né a sentirci arrivati, ci ha insegnato a guardare quel che potrà essere domani il giornalismo per non trovarsi impreparati quando il futuro sarà presente. A Messina lo amavano tutti, la gente per strada, i tifosi, perché sapeva che per scrivere di qualcosa è in strada che devi stare, non nelle stanze dei bottoni. Da te abbiamo imparato ad essere giornalisti di strada ed orgogliosi di esserlo.
Alla famiglia, ai figli Manuela e Francesca (detta Chicca) al nostro collega Maurizio che abbiamo visto crescere nelle nostre scalcinate redazioni vanno le condoglianze della redazione e della società editrice di Tempostretto.
Ciao Mino, tanto lo so che ti sei addormentato con un’idea nuova in testa e sapevi anche come realizzarla. Stupendoci tutti.
Rosaria Brancato