Valle degli angeli non è poi così lontana. Non è periferia. Sei a Provinciale, giri l’angolo e ti ritrovi davanti ad uno spettro, ad un’immagine uguale alle scuole crollate per i terremoti nel centro-Italia. Ti ritrovi quel che resta di una speranza, di un simbolo: l’ex scuola Nicholas Green.
Se non riusciamo a cambiare le cose più piccole, come possiamo mettere tra le priorità quelle più lontane e più grandi?
La storia di Nicholas Green insegna questo: che dai piccoli gesti si apre il varco per i grandi cambiamenti. Era l’1 ottobre del ’94 ed io, da cronista, sono stata incaricata da Telecolor di seguire la storia del piccolo Nicholas, ucciso da rapinatori lungo l’autostrada Salerno-Reggio Calabria mentre era in auto con i suoi diretti in Sicilia. Ricordo le interviste ai genitori, quegli sguardi profondi quanto il loro dolore ma determinati nel fare la scelta più tremenda per un genitore: donare gli organi del proprio figlio morto. Nel ’94 in Italia la donazione degli organi era quasi un tabù, erano appena 400 i donatori l’anno. La scelta dei Green fu da esempio. Erano venuti in Italia in vacanza e noi gli abbiamo ucciso il figlio, altri al posto loro avrebbero reagito diversamente. Invece per i Green fu una “decisione naturale”. Quel gesto solitario innescò un cambiamento a catena. La rivoluzione inizia dalle piccole cose. Non è stata una manifestazione di piazza, una petizione, un gesto eclatante, ma un solo sì che si è trasformato in un fiume.
Invece a Messina, 22 anni dopo, siamo riusciti a calpestare quel simbolo di cambiamento. Quel che resta dell’ex scuola Nicholas Green, chiusa sin dal 2011, rappresenta la nostra incapacità di cambiare persino le piccole cose.
Di anno in anno abbiamo lasciato che sporcizia si unisse a maceria, che sterpaglia si unisse a letame e che i danni diventassero così ingenti da rendere necessarie somme importanti per poter ristrutturare il plesso. In questo modo i grandi obiettivi diventano solo alibi per non fare.
Il padre di Nicholas è tornato a Messina nel 2014, vent’anni dopo la tragedia. Nessuno, per vergogna, lo ha portato nella scuola dedicata al suo bimbo. Quest’anno, a febbraio, Reginald Green è tornato a Palermo, ed ha tenuto un discorso nell’Aula intestata a Nicholas. Noi abbiamo ridotto in macerie un simbolo di speranza e di cambiamento.
Il Consiglio della III Circoscrizione per 3 anni, dal 2013 a un mese fa, ha presentato proposte per riqualificare l’immobile, ormai ridotto a cumulo di macerie, rifiuti, rifugio per vandali e vagabondi. Il quartiere ha proposto un bando per affidare l’edificio ad associazioni, ne ha proposto l’uso per uffici comunali o per una biblioteca. Nessuna risposta da Palazzo Zanca. Nei giorni scorsi il dirigente del Dipartimento manutenzioni ha spiegato che mancano 10 mila euro persino per mettere una recinzione e chiudere i cancelli.
Da 3 anni i consiglieri votano un Piano delle opere pubbliche che prevede, solo sulla carta, 300 mila euro per ristrutturare la scuola ma oggi quella cifra non basterebbe neanche per iniziare l’opera, figuriamoci per renderla agibile.
A tutti piacciono i grandi sogni, ma ogni viaggio inizia da un singolo passo. Non stiamo parlando di un’opera infrastrutturale, ma di una piccola scuola in un quartiere che ha maggiore bisogno di attenzione rispetto ad altri. E’ uno di quei luoghi abitati e vissuti da quelli che l’Accorinti dei 40 anni di battaglie e dei 3 mesi di campagna elettorale nel 2013 definirebbe “gli ultimi”.
Numerose associazioni di volontariato hanno provato a chiedere l’utilizzo di quel plesso che l’amministrazione degli ultimi si ostina a ignorare.
Il sindaco continua ad andare in televisione o ai convegni con la foto della Casa di Vincenzo, rimasta chiusa per 6 mesi e che sta in piedi solo grazie all’impegno di Padre Pati. Da Richard Gere a Renzi passando per La 7, il sindaco sbandiera la Casa di Vincenzo come il simbolo dell’attenzione verso gli ultimi. All’Università Accorinti ha dato a Renzi, in occasione della firma del Patto per Messina la foto di Vincenzo. Già che c’era, visto che si parlava di Masterplan, di opere pubbliche, di riqualificazione del territorio, perché non ricordarsi anche della scuola di Nicholas? Nel sottolineare il fatto che mancano risorse e che i governi vecchi e nuovi ci hanno lasciato senza opere pubbliche perché non iniziare a intervenire là dove un’amministrazione locale ha il potere ed il dovere di farlo? Perché, dopo aver puntato il dito sulle colpe di Renzi, di Crocetta, per quel che riguarda le opere faraoniche, non guardarsi in casa e vedere se c’è qualcosa che questa amministrazione poteva fare e non ha fatto? Troppo facile lamentarsi per l’assenza di infrastrutture e sorvolare sul fatto che non si è riusciti in 3 anni e mezzo a restituire dignità e decoro all’edificio.
Se sei troppo distratto a protestare contro un Ponte che esiste solo nelle campagne elettorali, poi non ti accorgi che inciampi nelle sterpaglie, nelle pozzanghere, nella melma. O finisci nel parquet divelto di Piazza Cairoli. O nel degrado della Galleria Vittorio Emanuele, della Villa Dante. Le scuole, le ville, la Piazza, non sono opere faraoniche, sono opere di competenza dell’amministrazione locale. Il Ponte, le infrastrutture, il Sud dimenticato non possono diventare alibi ai mancati interventi di un’amministrazione locale.
Quest’amministrazione sbandiera la battaglia contro il cemento, la speculazione edilizia, presenta progetti avveniristici per la riqualificazione delle periferie e non spende né tempo, né risorse , né attenzione, per una scuola a pochi passi dal centro.
Vale per la scuola di Nicholas come per Villa Dante, per la Galleria Vittorio Emanuele per Piazza Cairoli.
I grandi cambiamenti non possono prescindere da quelli piccoli. Se oggi migliaia di persone sono donatori di organi in Italia, se adesso c’è la possibilità di scriverlo sulla carta d’identità, lo dobbiamo anche alla scelta di Reginald Green.
Quindi o ridiamo dignità al ricordo ed al simbolo di Nicholas o cambiamo intitolazione e ne facciamo un “monumento” all’ignavia e all’indifferenza.
Rosaria Brancato