94 persone arrestate, di cui 48 in carcere e 46 ai domiciliari, 151 imprese sequestrate insieme a conti correnti, rapporti finanziari ed altre fonti di reddito.
I reati contestati sono associazione per delinquere di stampo mafioso, danneggiamento seguito da incendio, uso di sigilli e strumenti
contraffatti, falsità materiale commessa da pubblico ufficiale in atto pubblico, falsità ideologica commessa da pubblico ufficiale in atto pubblico, trasferimento fraudolento di valori, estorsione, truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, impiego di denaro, beni ed utilità di provenienza illecita.
Ecco i risultati dell’operazione “Nebrodi”, frutto di due diverse indagini che la Direzione Distrettuale Antimafia di Messina ha affidato al Gico (Gruppo d’investigazione sulla criminalità organizzata) della Guardia di Finanza di Messina ed ai carabinieri del Ros (Raggruppamento operativo speciale), del Comando provinciale di Messina e del Comando tutela agroalimentare.
La Guardia di Finanza si è concentrata su una costola del clan Bontempo Scavo, capeggiata da Aurelio Salvatore Faranda, che ha esteso i propri interessi fino al Calatino; i carabinieri hanno ricostruito l’assetto e l’operatività del clan dei Batanesi, diretto da due omonimi Sebastiano Bontempo (50 e 47 anni), Sebastiano Conti Mica, e Vincenzo Galati Giordano, operante a partire da Tortorici fino al resto del Messinese.
I due clan interloquivano fra loro, formando un’associazione mafiosa estremamente attiva, osservante delle regole e dei canoni dell’ortodossia mafiosa, in posizione egemone nell’area nebroidea messinese ma capace, al tempo stesso, di rapportarsi, nel corso di riunioni tra gli affiliati, con le articolazioni territoriali mafiose di Catania, Enna e delle Madonie.
I Batanesi avevano una cellula a Centuripe (Enna), intervenivano in dinamiche mafiose sempre nell’Ennese, a Regalbuto e Catenanuova, tramite rapporti con esponenti della locale criminalità organizzata, ed erano arrivati anche a Montalbano Elicona, “prendendo” il territorio un tempo controllato dalla mafia barcellonese, decimata dalle operazioni Gotha.
Una famiglia mafiosa riconosciuta anche dai pubblici ufficiali. In un caso, un funzionario della Regione aveva contattato uno dei membri più attivi del clan dei Batanesi, in relazione a furti e danneggiamenti di un mezzo meccanico della Regione.
L’interesse principale dei due clan era di ottenere contributi europei concessi dall’Agea, l’Agenzia per le erogazioni in agricoltura. Dal 2013 ad oggi avevano percepito in modo illecito oltre 10 milioni di euro, tramite 150 imprese agricole, alcune delle quali in realtà inesistenti.
E lo avevano fatto con l’aiuto dei colletti bianchi: ex collaboratori dell’Agea, un notaio, molti responsabili dei Caa, Centri di assistenza agricola, che conoscevano bene i meccanismi di erogazione della spesa pubblica e i limiti del sistema dei controlli.
I clan si spartivano il territorio per commettere tantissime truffe, rapportandosi anche con mafie di altri territori, esibendo falsamente la titolarità di particelle di terreni, che in realtà erano di altre persone o addirittura di enti pubblici, e stando attenti a non duplicare le istanze sulle stesse particelle.
Tramite intercettazioni, acquisizioni dei fascicoli aziendali e perquisizioni in casa dei principali indagati e in alcuni Centri di assistenza agricola, è emerso come gli operatori dei centri e i membri dei clan concordassero: 1) la predisposizione di falsa documentazione attestante la titolarità di terreni da inserire nelle domande di contribuzione, anche mediante l’utilizzo di timbri falsi; 2) la cessazione delle ditte/aziende già utilizzate (mettendole in liquidazione); 3) il trasferimento dei titoli autorizzativi da una società/ditta ad altre da utilizzare nel contesto dell’organizzazione; 4) lo spostamento delle particelle dei terreni da una azienda a favore di altre riconducibili agli stessi sodali; 5) la revoca dei mandati riferiti a precedenti Centri di assistenza agricola a favore di altri, e ciò al fine di rendere più difficile il reperimento della documentazione utile agli organi di controllo.
In alcuni casi, le somme provento delle truffe sono state ricevute dai beneficiari su conti correnti aperti all’estero e, poi, fatte rientrare in Italia attraverso complesse movimentazioni economiche, finalizzate a fare perdere le tracce del denaro.
Altro che “mafia dei pascoli”. Questa mafia parte dal controllo dei terreni, si fa forte di stretti legami parentali e omertà diffusa (quindi è difficile ci siano collaboratori di giustizia), poi si infiltra in settori strategici dell’economia legale, puntando su elevati profitti a fronte di difficoltà di controlli e bassi rischi giudiziari.
(Marco Ipsale)