la storia

Marco De Vincenzo, da Messina all’alta moda per Beyoncé e Angelina Mango

Gli abiti indossati da Angelina Mango, vincitrice della 74esima edizione del Festival di Sanremo, sono stati ideati da lui. Ma la sua è una lunga carriera partita a 18 anni, da quando ha lasciato Messina per lanciarsi in un settore, quello della moda, che è una vera e propria montagna russa. Parliamo di Marco De Vincenzo, designer e direttore creativo di Etro, che vanta una lunga carriera con Fendi e collaborazioni con artisti e artiste di livello internazionale. Un nome per tutti: un vero e proprio mito della musica pop, Beyoncé.

“La moda una folgorazione”

Ma com’è nata questa lunga avventura? Dalle rive dello Stretto. A raccontare la sua storia a Tempostretto è stato lo stesso Marco De Vincenzo: “Ho coltivato le mie passioni da solo, per tutto il liceo classico. Ho studiato al La Farina e non in un liceo artistico, ma da quando avevo 14 anni ho saputo che sarei partito per studiare moda. Ero molto legato all’idea, anche perché disegnavo da sempre. E così a 18 anni sono partito e sono andato a Roma. Fino ad allora la moda è stata solo una passione, non avevo mai fatto niente ma sapevo che quello era il mio sogno. Una cosa istintiva, una folgorazione mai più abbandonata. Ora sono passati tanti anni e questo fuoco è ancora intatto”.

A Roma tre anni di studi e poi… Fendi

Nella capitale De Vincenzo ha mosso i primi passi: “A Roma ho avuto la conferma che tutto questo aveva un senso quando ho studiato all’istituto europeo di design per tre anni. Questo mi ha fatto capire che avevo visto bene, che far occupare alla moda il posto centrale delle mie giornate era ciò che volevo davvero. Dopo il corso triennale è arrivato subito Fendi. Ho fatto un colloquio come succede a tutti gli studenti a fine corso e sono entrato lì. Quel giorno avevo 21 anni: è stata una bella casualità. Si facevano colloqui di vario tipo, le scuole entrano in contatto con varie aziende e nel mio caso è stato Fendi in un momento di grande trasformazione per un marchio appena diventato internazionale. Io non avevo mai disegnato accessori ma il colloquio è stato su quest’aspetto ed evidentemente il mio portfolio li ha colpiti. Da lì è cominciata la mia carriera e per dieci anni ho disegnato borse”.

Dalle borse ai vestiti

“Poi, però, qualcosa non mi bastava più, continuavo a disegnare vestiti per fatti miei – ha proseguito il designer -. Ma la mia specialità era riconosciuta negli accessori, anche da altri marchi. Per farmi disegnare vestiti avrebbero dovuto scommettere. L’unica possibilità che mi è sembrata verosimile a 30 anni è stata quella di lanciare il mio marchio omonimo: per me era l’unico modo di mettermi in mostra. Fendi ha compreso la mia scelta e me l’ha lasciato fare, tanto che io sono rimasto a ricoprire il mio ruolo mentre mi sono lanciato in questo viaggio incredibile, faticosissimo, bellissimo e anche un po’ incosciente della costruzione di un marchio partendo da zero e autofinanziato. Tutto ciò che guadagnavo in quegli anni l’ho messo nel mio marchio. Alla fine ho scommesso io su me stesso, quando ho capito che nessun altro lo avrebbe fatto. Dovevo dare sfogo a questa mia passione. Il progetto è poi rimasto in piedi per circa 12 anni, parallelamente all’altra attività. Non è stato facile combinare le cose, ma sono rimasto a galla restando sempre credibile”.

Il Covid e l’arrivo di Etro

La mente del creativo non è rimasta ferma e “a un certo punto, quando stavo pensando nuovamente a quale percorso individuale scegliere, è arrivato Etro. Con Fendi ormai c’era (e c’è) un rapporto di reciproca fiducia, ma cercavo di capire cosa fare da designer indipendente. Questa opportunità è arrivata con Etro, un anno e mezzo fa. C’era stato il Covid e avevo approfittato del lockdown, per me è stata una presa di coscienza del fatto che il mio progetto in quel modo non poteva essere portato avanti. Mi servivano finanziamenti, non potevo più fare conto solo sulle mie forze. Ero in attesa e il Covid, nonostante sia stata una tragedia enorme, ha rappresentato anche una pausa importante per riconsiderare alcune cose. A me è servito per questo, per darmi tempo per capire. Subito uscito dal periodo Covid, quando veramente mi stavo chiedendo cosa fare, avevo anche lanciato un piccolo progetto di moda riciclata. Sono tuttora molto interessato all’argomento della sostenibilità nella moda. L’alternativa l’avevo quindi già messa in piedi, poi mi ha chiamato Etro. Per adesso direi che Fendi ed Etro sono abbastanza, ho congelato il resto”.

La collaborazione con Beyoncé e quella con Angelina Mango

In questo lungo percorso, il messinese ha lavorato con star di livello internazionale: “Le collaborazioni sono sempre una bella sfida. Non dimenticherò mai cos’ha rappresentato nella mia carriera collaborare con Beyoncé. Quella notte, era la vigilia del mio compleanno, il mio cellulare esplose. Lì ho capito che tipo di impatto possano avere quel tipo di collaborazioni. Certo, è bello quando gli attori, le attrici, artisti e artiste ti scelgono. Diventano poi rapporti personali, soprattutto se non vivono lontano da te rimani in contatto. Mi è successo con Virginia Raffaele, per cui abbiamo lavorato per un Festival, ma anche con Levante che ormai è una mia amica di vecchia data. Angelina Mango l’ho conosciuta appena un mese fa, forse anche tardi rispetto all’inizio di Sanremo. Ma la cosa meravigliosa è stata la sua età: per me è una finestra su una generazione di cui cerchiamo di intercettare il gusto. Lavorare con una ragazza così giovane e vedere già che sa cosa si aspetta da un vestito di scena è stupendo. Sono state tutte collaborazioni che mi hanno dato molta adrenalina”.

La sostenibilità nella moda

Cosa dobbiamo aspettarci, adesso, dalla carriera di De Vincenzo? Tanti altri obiettivi da seguire e sogni da realizzare: “Sono assolutamente convinto che la moda debba farsi più domande di quanto già stia facendo, per questo mi vedo proiettato in un progetto come quello lanciato subito dopo il Covid, che si chiama Supèrno. Lavoravamo su ciò che era già fatto, ri-assemblando e modificando, era un ribaltamento del lavoro, lavorando sul già fatto e non sul tessuto. Ma intanto Etro è un progetto freschissimo per me, mi ci sto dedicando anima e corpo e c’è tantissima carne al fuoco. Sono felicissimo. So per certo che la moda tarderà a scomparire dalla mia vita. Nonostante il sistema stia diventando sempre più frenetico e feroce, ci torno sempre come fosse una zona confort. Non mi allontano dalla moda, nonostante mi piacciano anche altre cose, come disegnare no? Mi vedo ancora qui tra dieci anni, ecco”.

Il rapporto con Messina

Il designer ha anche parlato del rapporto con Messina e con la Sicilia: “Ho lasciato la città con molto dispiacere a 18 anni, non ero un ragazzo stanco della città ma semplicemente consapevole che ciò che volevo fare non potevo realizzarlo lì. L’ho lasciata, ma una parte di me non l’ha fatto mai. Ci torno ogni volta che posso, trovo sempre un’occasione per farlo. Mi ha influenzato? Non saprei. Dico sempre che a Messina nasciamo con una forte immaginazione perché dobbiamo immaginare perfino com’era il luogo stesso in cui nasciamo. E inoltre se chiedi a una persona di pensare alla Sicilia magari non pensa a Messina, la città ha aspetti inediti rispetto al resto, meno ovvi diciamo. Sono sempre stato attratto da questo e da chi cerca di inventare. Forse questo vivere a Messina, dove erano più forti le leggende che non le verità stesse, mi ha aiutato. Nasciamo con un senso di mancanza e con una voglia di recuperare ciò che non abbiamo. Penso che Messina mi abbia formato così. Non so quante altre cose si mescolano, ma è chiaro che nel mio lavoro l’influenza della mia terra c’è. Magari non è visibile come in altri lavori. Ma trovo sempre più bello il mio legame con la città, per me tornarci è fondamentale. Utilizzo Messina in tanti modi e forse oggi ne sono ancora più consapevole: dopo me ne vado sempre con un bottino creativo diverso, fatto di sguardi, scorci, foto”.

Il consiglio ai 14enni

Un consiglio al 14enne Marco? “Il 14enne che ero sognava molto su Gianni Versace, perché la vedeva come una storia molto vicina di cui si parlava molto nello Stretto. Era stimolante sapere che delle storie grandi possono iniziare ovunque . Era incredibile associare Versace a Reggio Calabria, per me sembrava impossibile, molto strano. Ma questa cosa mi ha molto aiutato e lo ha fatto con tanti creativi della mia generazione. Direi questo a un qualsiasi 14enne, di sognare molto in grande. Non è assolutamente detto che la provenienza da un luogo sia una condanna. Messina non è una città di moda, è vero, e bisognerà fare sacrifici per arrivare a certi livelli. Ma avere un sogno grande è ciò che ti porta lontano: bisogna coltivarlo già a quell’età”.

E infine: “Oggi i 14enni hanno un quadro della moda che potrebbe essere leggermente falsato dai social network, magari si può credere che sia solo un palcoscenico fatto di collaborazioni con artisti e cene di gala. Invece bisogna capire che è una strada faticosa, complicata, come tutti i mestieri che generano un grosso business ha la sua pressione. Serve un sogno grande e la consapevolezza che c’è tempo per tutto. Le cose giuste arrivano, il tempo c’è per capire cosa fare e cosa non fare, purché si abbia un sogno da seguire. La strada è lunga. Io sono convinto di aver cominciato un metodo, un rigore, già a quell’età, nonostante fossi ancora al liceo classico. Lì ho iniziato a studiare e approfondire le cose, quello è già il momento per cominciare a intraprendere la strada. E non penserei al limite geografico. Capita che lo si pensi, ma non è una cosa vera. Non ci sono limiti geografici di nessun tipo per realizzare un sogno così”.