Cultura

Marina Abramović al Taobuk: “L’artista deve essere l’ossigeno della società”

TAORMINA. Marina Abramović si presenta alla 14esima edizione del Taobuk con una dichiarazione inedita, donata al numerosissimo pubblico che inonda per lei Piazza IX Aprile. È un invito all’amore incondizionato quello che dedica al Festival del libro (quest’anno sviluppato sul tema dell’Identità), un invito all’amore ispirato dalle parole del Dalai Lama: “Se impariamo a perdonarci smettiamo di uccidere” e di cui l’artista sente l’urgenza in questa nostra tragica attualità.

La dichiarazione inedita

Così recita: “Invito all’amore incondizionato. Stiamo trasformando la negatività, stiamo inventando la positività. Ci stiamo innamorando del nostro pianeta (ripetuto 3 volte). Dobbiamo imparare a innamorarci del nostro pianeta. Dobbiamo smettere di trattare il nostro pianeta come se fosse spazzatura. Insieme, stiamo imparando ad amare tutti gli esseri viventi (per 3 volte). L’amore incondizionato ci cambierà (per 3 volte). Insieme cambieremo il mondo. Insieme cambieremo il mondo. E soltanto allora potremo cambiare il mondo”.

Con queste parole si avvia l’incontro con l’Abramović, maestra indiscussa dell’arte e della cultura nel mondo, con 55 anni di visionaria carriera alle spalle. A dialogare con la “Grandmother of the performing art”, come lei stessa si definisce, sono Roberta Scorranese del Corriere della Sera e Arturo Galansino, direttore generale della Fondazione Palazzo Strozzi.

“Se non fossi così non riuscirei a respirare”

La discussione inizia ripercorrendo le tappe del suo percorso artistico: “Mi chiedono sempre come mi sia resa conto e sappia di essere un’artista – dichiara l’Abramović – ma per me non c’è alcuna risposta, semplicemente se non fossi così come sono non riuscirei neanche a respirare. Dipingevo sin da bambina, a 14 anni ebbi la mia prima mostra, ma mi sentivo così gelosa di Mozart, che, invece, aveva iniziato già a 7 anni. A quell’età sognavo tantissimo ed era importante per me dipingere a colori i miei sogni. Più tardi ho rivolto i miei occhi al cielo e, osservando le nuvole, ho iniziato a dialogare con loro, intraprendendo questo viaggio estremamente complicato e filosofico per cercare di dare espressione alla loro forma, alle loro ombre, alle loro proiezioni. Un pomeriggio, invece, a Belgrado, ero sdraiata sull’erba sempre con lo sguardo verso l’alto. In quel momento a solcare il cielo furono 14 aerei supersonici militari, che lasciarono, poi, ciascuno la sua scia. Da queste scie presero vita alcuni miei disegni. Capii, allora, che non sarei più tornata nello studio a dipingere, ma avrei preso ispirazione così come dagli aerei militari da qualsiasi altra cosa, da qualsiasi corpo. Tutta la mia arte parte, in realtà, dalla mia relazione con il corpo”.

La centralità del corpo

Fondamentalmente per lei è, infatti, la corporeità e il nostro rapporto con essa: “Il nostro corpo è un microcosmo – continua -, comprenderlo vuol dire comprendere ogni corpo. Appena ho scoperto i limiti fisici del corpo ho voluto occuparmi di questi, indagarli. Per farlo, mi sono recata in una sala operatoria, avevo bisogno di comprendere come si potesse tagliare il corpo, fare un trapianto, come smembrarlo e rimetterlo insieme.
Una volta compreso il dolore fisico, mi sono interessata di quello psichico, delle malattie emotive e mentali, che costituiscono un territorio molto più difficile. D’altronde sono tre paure degli esseri umani ad essere espressione di tutte le arti: la paura della morte, della sofferenza, del dolore. Ho deciso di mettere in scena queste paure davanti un pubblico per trovare la mia stessa liberazione e dimostrarvi che, se riesco a farlo io, potete farlo pure voi”.

Il racconto dell’artista non può non soffermarsi su quei momenti che hanno fatto delle sue opere la storia dell’arte e della performance.

Imponderabilia

Prima di tutte, la celeberrima Imponderabilia, realizzata il 2 giugno 1977 alla Galleria Comunale d’Arte Moderna di Bologna. Così la racconta: “C’erano altri 12 artisti che arrivavano da tutte le parti del mondo, io e Ulay (suo compagno d’arte e di vita per oltre 10 anni) ci chiedemmo cosa avremmo potuto proporre di nuovo e pensammo che se non ci sono artisti non ci sono musei. Decidemmo, allora, di trasformarci nella porta del museo. Nudi, stavamo in piedi, uno di fronte all’altro, creando questa porticina stretta dalla quale i visitatori erano costretti a passare, girandosi verso uno di noi, sfiorandoci inevitabilmente. Il pubblico fu molto difficile, alcuni restavano intimiditi, alcuni passavano velocemente, altri non volevano guardarci, altri ancora si scusavano. Dopo 4 ore arrivarono dei poliziotti: costretti anche loro ovviamente ad attraversarci per entrare, ci chiesero il passaporto e fermarono la performance. Ma quello divenne un pezzo storico”.

A tal proposito, l’Abramović ci regala ancora un aneddoto esclusivo: “Per la performance ci promisero 300 mila lire tutte in banconote, non capitava mai pagassero, noi vivevamo nella nostra macchina e quei soldi erano tantissimi, servivano per mangiare, per la benzina. Da quando arrivammo, ogni giorno ci recammo in segreteria a richiederli, ma ogni giorno una ragione diversa impediva loro di consegnarceli. Sapevamo che fare la performance senza averli ricevuti sarebbe valso a dire non riceverli più. Mezz’ora prima della performance, Ulay decise di andare a chiedere i soldi ancora una volta, ma stavolta completamente nudo. Ed ecco che la signora, scioccata, consegnò lui le 300 mila lire tutte in banconote. Dovevano fare immediatamente dopo la performance, non c’era dove lasciare il denaro. Ulay decise, perciò, di inserirlo in una bustina di plastica e metterlo dentro il gabinetto. Durante la performance notai la sua estrema preoccupazione ma non ne capivo la ragione: temeva qualcuno tirasse lo sciacquone facendo sparire i soldi. Per fortuna al termine di tutto erano ancora lì”.

The artist is present

Passiamo, poi, a The artist is present del 2010, al Moma di New York (che segnerà anche l’incontro, a sorpresa per Marina Abramović, tra lei e Ulay dopo 20 anni di lontananza): “Spiegai al curatore che mi sarei seduta aspettando semplicemente che qualcuno sedesse al tavolo con me. Lui mi chiese cosa avremmo fatto se la sedia fosse rimasta vuota, ma quella sedia non rimase mai vuota. Le persone dormivano fuori dal museo per poter partecipare, parteciparono in 8 mila, mai successo prima nella storia di una performance dal vivo. Dovevano stare lì a guardarmi negli occhi quanto tempo volessero. Insieme a tutto il pubblico dimostrammo quanto potere ha questo scambio emotivo”.

The Life

L’ultima tappa ricordata del suo percorso è il recentissimo The Life, prima mostra mista di arte perfomativa, inaugurata dal 5 al 18 giugno 2024, presso il Centro Arti Visive Pescheria a Pesaro. Dopo la presentazione assoluta a Londra nel 2019, arriva in Italia l’esperienza immersiva in 3D, dove l’ologramma dell’artista interagisce con i presenti, permettendo loro di esplorare temi come il tempo, lo spazio, la memoria, per poi svanire nel nulla. “All’inizio ero scettica sull’utilizzo delle nuove tecnologie – ricorda – mi spaventava dover indossare una maschera, pensavo fosse una privazione della mia libertà e della mia creatività. Invece diventano un ottimo strumento per indagare ancora di più il mio corpo, per fare a meno degli oggetti e rendere centrale l’energia. E permettono al pubblico di partecipare. Noto sempre più che il pubblico giovane non si accontenti di essere spettatore ma voglia sentirsi parte dell’esperienza artistica”.

7 Deaths of Maria Callas

C’è ancora un regalo che la rivoluzionaria artista vuole fare al suo pubblico messinese. Proietta, infatti, due delle 7 morti di Maria Callas che ha realizzato. Abramović inscena – nell’opera 7 Deaths of Maria Callas presentata per la prima volta nel 2022 al Teatro San Carlo – la morte di sette delle eroine che la famosa soprano Maria Callas ha interpretato durante la sua carriera. 7 storie famose interpretate dallo sguardo dell’artista. Sull’emozionante voce della soprano, a Taormina, l’Abramović porta la morte di Desdemona strangolata da Otello e quella di Tosca che salta nel vuoto dopo aver perso il suo amato (scena provata ben 7 volte per il grande schermo).

“Se dieci anni fa mi avessero detto che mi sarei occupata di Opera – ride – avrei pensato fossero matti, ma ho trovato sempre interessante spingermi in territori artistici ancora inesplorati. Così ho realizzato uno spettacolo in cui si parla della fine. Le opere liriche durano tanto, la mia è più corta ed è, quindi, un invito per i giovani a vederla. Ho chiesto aiuto a Willem Dafoe che, oltre ad essere un grande artista, è anche un grande assassinino”.

L’artista come ossigeno della società

Sui grandiosi applausi dei presenti così conclude l’incontro l’artista: “Non possiamo tornare all’idea che c’era trent’anni fa, per cui l’artista deve interpretare la parte del bohémien, deve essere ubriaco, tossicodipendente, un uomo dannato che muore giovane. L’artista deve essere l’ossigeno della nostra società e per riuscirci deve assumersi delle grosse responsabilità”.