MESSINA – Massa San Giorgio è la più popolosa delle antiche Masse, adagiata sulle verdeggianti colline. Quattro santi, patronati, di radice greca: Giorgio, Nicola, Lucia e Giovanni Battista successivamente distinsero l’intero comprensorio delle Masse dando il toponimo alle rispettive località. Risulta in alcuni documenti una quinta Massa, intitolata a San Michele, che potrebbe identificarsi con il villaggio omonimo, oggi prossimo alla città, confinante, valicato il monte Ciccia, con i distesi appezzamenti di terreni che declinano e si congiungono, passando per la strada che conduce al Campo Italia, con Massa San Giovanni. Svariate ipotesi anche avvincenti fanno rimontare la nascita di questi agglomerati urbani ai primi secoli del cristianesimo ma la data certa, il primo documento, che attesta un insediamento urbano, il più vetusto del circondario, è dell’XI secolo.
“Nel 1099, Niccola Graffeo vi costruì un convento per monaci basiliani, intitolandolo a S. Maria dell’Austro. Le vicende economiche della popolazione di questo borgo dal 1099 fino a tutto il XV secolo pare che rimangano legate alle vicende del convento; poi si sviluppano in aderenza all’economia della città di Messina, giungendo quasi a perdere ai nostri giorni ogni caratteristica fisionomia” (Giuseppe A.M. Arena, Archivio Storico Messinese, III serie, vol. XXX, anno 1979, pag. 155).
Del monastero, oggi proprietà privata, rimane: “La piccola cappella che adesso è utilizzabile, un tempo costituiva il portico dal quale si accedeva alla chiesa, ed è l’unica parte del monastero veramente integra e scampata alla devastazione del terremoto. Sulla facciata oltre all’arco di accesso si ammira una finestra e delle iscrizioni. In una si legge: “Abbas D’Antonius Zirilli 1384” e fu scolpita in occasione della visita effettuata dall’abate in quell’anno” (G.Calapai, Sancta Maria Mater Gratia, La Cometa, anno V, Luglio-Agosto 2002, pag.15).
Il paesaggio attorno è rigoglioso e ricco di acque, terre un tempo tutte coltivate e restano visibili i terrazzamenti contenuti dai muri a secco, le mulattiere che costeggiano giardini e frutteti e fra tutti era rinomata, fino alla metà del secolo scorso, la produzione di albicocche tanto da rifornire un noto marchio italiano di confetture. Non mancano luoghi insoliti come le grotte e il promontorio di “Rubalà” dove affiorano resti fossili marini, ubicate dietro il prezioso cimelio: la quattrocentesca chiesa di sant’Antonio Abate con le sue mensole grottesche e antropomorfe, riscontrate anche nella chiesetta a valle “A Ciumara”, coeva, della Madonna della Scala.
Dentro l’abitato due monumentali fontane, una a sant’Antonio con fregio, l’altra a Urna e infine una grande vasca a monte, a pochi metri dell’antica e già citata Badia, che serviva come abbeveratoio per i mezzi di locomozione dell’epoca, dislocata da secoli sulla vecchia strada che collegava le marine, costeggiando il torrente Lavinia. Franco Chillemi nota e trascrive, in merito alla fontana, nel suo volume sui Quarantotto casali di Messina che vi è impressa una croce greca, formata da quattro bracci di uguale misura che si intersecano ad angolo retto, con una presunta data postuma.
Quella croce non è solo greca o bizantina, ha una sua precisa conformazione: “La Croce Patente è uno dei simboli di identificazione dell’Ordine dei Cavalieri del Tempio di Gerusalemme. E’ formata da quattro bracci di uguali dimensioni che si slargano nelle estremità. Quest’ultime possono avere bordo piatto, convesso o concavo. In quanto croce, simboleggia il mistero della passione di Cristo. La Croce Patente è da non confondere con la Croce di Malta dei Cavalieri Ospitalieri, la quale è una croce greca con otto estremità biforcute che rappresentano le beatitudini. Il nome “Patente” deriva dal latino patentem (participio passato di pàteo) che significa “allargato“. Il suo utilizzo fu concesso da papa Eugenio II ai Cavalieri Templari con la bolla Militia Dei del 7 aprile 1145. (Samuele Corrente Naso,www.indaginiemisteri.it).
Di questi brand, come si chiamano oggi, o marchi, o meglio ancora firme e sigilli, nella vicina Castanea ne sono stati rinvenuti, dagli appassionati amici della “Giovanna d’Arco”, ben sei: uno allocato sull’architrave di una civile abitazione, oggi senza tetto, sita in via Trieste al numero 10, dentro un “porticato”, “rua” o cortile, con cisterna al centro e abitazioni a corona, alle quali si accedeva da un arco in pietra serrato da un portone in legno, tipica conformazione urbanistica del villaggio; altre tre scolpite su un monoblocco in pietra scura, di circa un metro e quaranta, ubicato in una traversa di via Oreto e oggi trasferito in una villa in prossimità di Rodia e le altre due si ergono, in bella mostra, sulla porta maggiore della chiesa di san Giovanni Battista. Greca, bizantina, patente che sia questa “croce” ricorre, chiara e distinta come uno stemma non solo nei due casali ma anche nella scampata, superstite e monumentale chiesa di Santa Maria della Valle, dove si venerava la Madonna della Scala, comunemente conosciuta come la Badiazza, vista e fotografata durante la scorsa edizione della “Via dei Tesori” e che campeggia in bella vista su un capitello. Non credo possa essere affidato al puro caso il fatto che lo stesso distintivo ritorni nelle tre località come semplice motivo ornamentale o di reimpiego. Sarà cura degli addetti ai lavori fare luce e trovare l’anello di congiunzione che lega la Badiazza, Castanea e Massa san Giorgio.