MESSINA – Messina celebra il ritorno del maestro del romanzo nero italiano. È ospite della libreria “La Gilda dei narratori” – nella sua unica tappa siciliana – Maurizio De Giovanni, l’amato scrittore napoletano i cui romanzi trascinano folle di lettori e hanno dato vita alle serie televisive I bastardi di Pizzofalcone; Mina Settembre e Il commissario Ricciardi. Di una vera e propria folla di lettori si è riempita la libreria messinese, dove De Giovanni ha presentato l’ultimo libro “Sorelle”, edito da Rizzoli, e ha dialogato con il giornalista e scrittore Francesco Musolino.
Prima di tutto, infatti, i ringraziamenti di De Giovanni a “La Gilda” e ad Alessandra Morace: “Siamo in un luogo dove io e ogni altro scrittore vogliamo ritornare; un luogo dove ogni lettore sa che sarà guidato verso il libro di cui ha bisogno. È un patrimonio per la comunità”.
E, poi, via al dialogo a tu per tu con Musolino. Di Giovanni si racconta con la sua solita profondità, allegria, umanità.
Si parte proprio da “Sorelle”, sesto appuntamento della storia di Sara Morozzi: l’ex agente dei servizi segreti torna a correre contro il tempo.
In questa nuova avventura il passato difficile di Sara si incontra con quello di Teresa. La mora e la bionda, due colleghe nei Servizi, due amiche, due rivali, un legame complicato ma autentico come quello di due sorelle. Teresa, a capo dell’unità di cui aveva fatto parte anche Sara, è scomparsa. Ma Sara è disposta a tutto per ritrovarla. E per farlo sarà necessario partire dai ricordi, quelli di Teresa, i suoi, quelli in comune, in un percorso in cui passato, presente e futuro si intrecciano.
De Giovanni svela come è nata la storia di Sara: “Era l’1.30 di notte, ero in scooter a Napoli, stavo tornando a casa, dopo una giornata di pioggia incessante sin dal pomeriggio. Vedo una donna dai capelli bianchi seduta dal lato del guidatore in una macchina in sosta. Abito in una zona residenziale, non ci sono locali, data l’ora ho pensato potesse essere in pericolo. Mi sono avvicinato alla sua macchina, illuminandola con i fari dello scooter. Ecco, come potete notare io di certo non punto tutto sulla mia bellezza, ai tempi ero ancora più grosso, vedermi arrivare non deve essere stato di certo rassicurante, ma quella donna mi ha sorriso e fatto cenno che andasse tutto bene. Ho notato che il suo volto fosse giovane, diversamente da ciò che i suoi capelli mi facevano pensare e che non fosse truccata. Sono tornato a casa e poi riuscito per buttare la spazzatura. La sua macchina non c’era più. Ma al suo posto l’asfalto era asciutto, segno che la macchina della signora fosse rimasta lì per tanto tempo. Sono tornato a casa pieno di domande, la mattina dopo, però, avevo tutte le risposte. Sapevo chi fosse quella donna, conoscevo i suoi ultimi 30 anni di vita, le sue scelte. Quella era Sara”.
E sul rapporto tra Sara e Teresa: “Mi chiedono spesso se da uomo sia difficile scrivere di donne. È difficile scrivere da pedofilo, da assassino, è difficile scrivere di qualcosa che non fa parte di noi. Ma non delle donne, è la stessa la nostra umanità, solo che le loro sfaccettature sono infinitamente più ricche. Se noi uomini disegniamo con le scatole composte da 12 pastelli – avete presente? – le donne ne usano 64. Sono più vaste e così lo è il loro rapporto. Tra uomini l’amicizia può durare per sempre perché non si addentra mai nell’intimità, noi al massimo parliamo di calcio; sono amico di Francesco [Musolino n.d.r] ma me lo sogno di andare in bagno con lui! Le donne, invece, possono vivere l’amicizia in maniera simbiotica, un’unione così profonda è facile che diventi fragilissima e si rompa. Loro pretendono dall’amicizia cose che non ci aspetteremmo. Se una di loro usa 64 pastelli, pensate a fare 64×64 quando si relaziona ad un’altra e pensate a farlo con 30 anni di vita in mezzo. Sara e Teresa sono unite per sempre dall’aver perso la persona che amavano, questo è un dolore che cambia, rende diverse e che, però, le fa essere più che amiche, sorelle. Parlare, quindi, di loro 30 anni dopo vuol dire fare 64 alla quarta, raccontare 4 donne differenti. Ma io non devo fare niente, le metto in azione e sono loro ad interagire incredibilmente, a creare la storia, ed è lì che io mi diverto. Al mio divertimento corrisponde la vostra velocità nel leggere il racconto”.
E, poi, rivela lo scrittore: “Mi godo questi ultimi momenti in cui Sara è solo mia”. Dopo le celebri serie, infatti, è stata confermata la trasposizione televisiva anche della storia di Sara, stavolta, però, acquistata da Netflix.
Un ulteriore grande successo per una storia che i lettori hanno amato, letto e vissuto intensamente grazie alla distintiva capacità di De Giovanni di raccontare le emozioni, far provare – senza abbandonare mai la tensione narrativa costante – i dolori dei personaggi, far conoscere la loro umanità, comprenderne l’interiorità, in una magica Napoli sempre protagonista.
A proposito, infatti, del ruolo fondamentale di Napoli per i suoi racconti, l’autore ricorda Andrea Camilleri.
“Il regalo più bello che ho avuto dalla scrittura è stato l’amicizia con Andrea, le cene a casa sua. Oltre ad un narratore fantastico è stato una persona unica, bellissima. Per me, poi, esiste soltanto un prima e un dopo Camilleri. Un “a. A. C.” e un “d. A. C.”. Prima di lui i grandi scrittori del romanzo nero raccontavano soltanto la propria storia, con Andrea il romanzo nero diventa prima di tutto il racconto del luogo, il luogo diviene protagonista. Dopo di lui è stato così per tutti noi. Noi non ci percepiamo come concorrenti uno dell’altro. Lo confesso, avrei paura a trovarmi in una stanza con i narratori mainstream. La serata finale del Premio Strega mi fa paura perché è centro del massimo odio possibile. Se mancasse la luce, si troverebbe qualcuno morto, lo giuro, e non si saprebbe ucciso da chi, perché si detestano tutti. Per noi non è così, noi ci vogliamo tutti bene perché so che se leggete un libro di Cristina Cassar Scalia sarete molto più invogliati a leggere i miei. Lo comprendiamo noi autori, lo comprendono i lettori, ma non lo fanno i critici letterari o i grandi premi”.
Così descrive, invece, la sua scrittura: “Il saggista, il giornalista, loro hanno bisogno dei documenti, il narratore no. Ovviamente ci documentiamo, studiamo, ma prendiamo la realtà per riunirne i puntini a partire da dove desideriamo. Costruiamo un mondo molto plausibile ma non necessariamente vero. Un mondo, però, capace di creare domande che sono l’aspetto più bello dei libri. Voi lettori siete diversi dagli spettatori televisivi, siete voi a creare la storia. Facciamo che il 50% del merito è il mio e il 50% è vostro. Anzi direi che il 30% è mio e il 70% vostro. Voi immaginate la storia, voi finendo il libro chiudete gli occhi e scrivete la pagina che non ho scritto. Questo è il miracolo della scrittura, io traggo solo i puntini”.
E, per concludere, De Giovanni ci rivela di essere stato rimproverato più volte a causa del suo commissario Ricciardi: “Al supermercato incontro una signora che mi punta il dito: “Senta, quel ricciolo sul volto di Ricciardi è inaccettabile! Nel romanzo non c’è, non deve esserci nella serie!”. Faccio presente alla signora di non essere io a decidere per la serie, ma lei ribatte: “Beh, ma conterà pur qualcosa, allora glielo dica”. Peggio ancora, un giorno al bar due signore mi guardavano disgustate bofonchiando tra di loro, finché una si decide: “No devo andare a dirglielo!”. Anche lei arriva da me puntandomi il dito e mi urla: “Io non la perdonerò mai per quello che ha fatto ad Enrica, non la perdonerò mai per averla uccisa!”. Il barista, terminato il mio caffè, mi invita, allora, a non tornare più nel suo bar, inutili i miei tentativi di spiegare che fossi uno scrittore, d’altronde qualsiasi assassino potrebbe camuffarsi così!”.
Prima di andare via, De Giovanni lascia al pubblico messinese un inestimabile regalo: una emozionante e commovente lettura inedita. E, infine, il lungo firmacopie.