Adolfo Berdar: un illustre messinese d’adozione “poco pubblicizzato”. Si lavora per intitolargli una via

Proseguono gli appuntamenti di avvicinamento al dieci febbraio, giorno in cui l’Italia ricorda le vittime delle foibe con il “giorno del ricordo”. Ieri, tra gli appuntamenti in programma a Messina, si è tenuta una conferenza all’aula Cannizzaro dell’Università. Tra gli interventi quelli dello storico Franz Riccobono, che ha tracciato un profilo di Adolf Berdar, fiumano ma messinese d’adozione, personalità illustre seppur “mediaticamente” poco pubblicizzata. Così di livello il suo profilo professionale e culturale che l’associazione SìAmo Messina ha deciso di chiedere al Comune l’intitolazione di una via cittadina per lo stesso Berdar. La richiesta è stata già annunciata all’assessorato alla Toponomastica e dovrà essere corredata da una scheda tecnica che ne motivi la decisione, che comunque non sembra essere in discussione.

Come riporta il profilo tracciato da Marco Grassi, dottorando e componente dell’associazione Sìamo Messina, Berdar studiò a lungo il territorio dello Stretto di Messina che trovo spazio nei suoi studi e ricerche, divenendo la nostra città praticamente la sua casa. Adolfo Berdar nasce a Fiume nel 1919 e sin da giovane amò la natura, frequentò abili pescatori e naturalisti, ed apprese, con entusiasmo, numerose notizie del suo territorio. Maggiorenne prestò servizio militare nella Regia Aeronautica Italiana e ammalatosi durante il secondo conflitto mondiale fu mandato in congedo illimitato. Nel 1946 fondò il Museo di Storia Naturale di Fiume ma poco dopo il trattato di pace assegnò Fiume alla Jugoslavia di Tito e così optò per la cittadinanza italiana. Fu licenziato e costretto ad attendere oltre un anno, senza lavoro, privo di carte annonarie e di mezzi di sussistenza, prima di ottenere il visto per trasferirsi in Italia. Per sopravvivere Berdar dovette vendere al mercato nero gran parte dei suoi beni. Con l’aiuto della fortuna e di alcuni partigiani amici riuscì a deviare pericoli ben più gravi. Un giorno un amico, che frequentava la sua casa insieme ad altri desiderosi di parlare liberamente contro l’invasore, fu tradito, prelevato di notte e fatto sparire senza processo. Berdar attese con ansia che prendessero anche lui, ma gli aguzzini preferirono sua madre, presunta spia italiana.

Nell’agosto del 1948 lasciò Fiume insieme con la moglie e alla piccola figlia portando con se solo una valigia con pochi ricordi. Giunto a Trieste spese i pochi soldi rimasti per acquistare qualcosa per sfamare la figlia. In seguito l’amministrazione anglo-americana sistemò i profughi in dei silos e in parte nella risiera di San Saba, utilizzata fino a qualche anno prima dai tedeschi per gli ebrei. Un posto più lugubre non potevano trovarlo, sembrava una vera e propria punizione invece di una calorosa ed umana accoglienza. Uomini e donne erano ammassati in degli stanzoni senza nessuna intimità e durante la notte sistemati su letti che erano nudo filo di ferro privo di qualsiasi materassino o di molle. Due giorni dopo partì per altri centri di raccolta e smistamento. Non meno dolorose furono le umiliazioni, le critiche amare, le frecciate ironiche di tanti italiani, colpevoli di chissà quali crimini, degni solo di essere disprezzati per aver abbandonato la propria terra. Scelse Messina quale residenza dove aveva buoni amici, pieni di premure e di affetto. E proprio in riva allo Stretto animato da grande entusiasmo, con intuito e sottile capacità di osservazione ricominciò ad applicarsi alle Scienze Naturali anche col desiderio di attenuare la nostalgia. Lo studio del territorio calabro-peloritano lo portò a collaborare con diversi Istituti Universitari e numerose furono le pubblicazioni realizzate in collaborazione con vari docenti che lo resero ben noto e stimato. Tra i suoi risultati di maggior interesse la costituzione di una ricchissima collezione paleontologica, costituita da resti fossili di elefanti, ippopotami, cervi e rinoceronti, la scoperta e successiva segnalazione della mandibola di Homo Neanderthalensis di Archi presso Reggio Calabria, lo studio dello spiaggiamento di specie abissali, la ricerca di nuove fonti alimentali, e la probabile scoperta di un nuovo vulcano sottomarino nell’area delle Isole Eolie.

Adolfo Berdar con la sua tenacia, l’instancabile passione per la ricerca e l’attenta osservazione dei fenomeni della natura, ha dato alle Scienze Naturali un importante contributo riportando alla luce preziosi reperti paleontologici, che hanno permesso a molti studiosi di professione di dimostrare eventi geodinamici di notevole interesse scientifico. I resti fossili dei mammiferi rinvenuti da Adolfo Berdar nei terreni sedimentari delle due sponde dello Stretto di Messina hanno permesso di acquisire importantissime notizie sulla geologia del Quaternario nell’area dello Stretto, che a causa di intensi fenomeni tettonici risulta molto complessa.

Oggi la maggior parte dei reperti è conservata al Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Messina, la mandibola “neanderthaliana” e qualche altro reperto si trovano all’Istituto Italiano di Paleontologia Umana di Roma, un paio di molari d’elefante al Museo Doria di Genova, altri al Museo di Storia Naturale di Verona e all’Università di Firenze. In tutto si contano circa 400 reperti, tutti facenti parte della stessa collezione Berdar. Senza tale disinteressata assiduità sui luoghi, costata notevoli sacrifici, i resti di tale paleofauna sarebbero andati totalmente perduti, e la scienza e la storia del remoto passato quaternario di questa regione non avrebbero ricevuto l’importante nuovo contributo di cognizioni. Tanti studi che erano stati in precedenza abbandonati oggi grazie a Berdar sono tornati di grande attualità scientifica in campo mondiale.