Hanno il divieto temporaneo – per 4 mesi – di esercitare attività e avere cariche sociali i tre imprenditori sospesi dalla Guardia di Finanza di Messina nell’inchiesta sui rimborsi irregolari alle case di cura cittadine, con la complicità – ipotizzata dagli investigatori – di un ex dirigente dell’Asp 5. Sequestrate liquidità per oltre 3 milioni di euro nei confronti di 7 strutture private convenzionate, somma ritenuta provento di truffa aggravata ai danni del Servizio sanitario pubblico.
Attualmente sono 25 gli indagati, a vario titolo, tra funzionari pubblici dell’Azienda sanitaria provinciale di Messina e responsabili apicali e dipendenti delle strutture private convenzionate, titolari delle più conosciute ed importanti case di cura operanti nella città dello Stretto.
L’inchiesta del Nucleo di Polizia economico-finanziaria ruota intorno all’acronimo Drg – Diagnosis related group: un dettagliato sistema che consente di classificare ogni singolo caso clinico in una determinata casella (il ministero della Sanità ha previsto oltre 500 casistiche), variabile in relazione alla diagnosi, agli interventi subiti, alle cure prescritte ovvero alle caratteristiche personali del singolo paziente ricoverato in una struttura accreditata.
Proprio sulla base del Drg, attribuito in funzione delle schede di dimissione ospedaliera (in sigla Sdo), parte integrante della cartella clinica, ogni singola Regione prevede la tariffa da rimborsare alla casa di cura privata convenzionata. Al Nucleo operativo di controllo interno all’Asp competente per territorio è delegato il compito di controllare tutto.
Le intercettazioni, l’analisi della documentazione sequestrata, i riscontri sui conti correnti bancari e le testimonianze, hanno convinto i finanzieri che a Messina era stato messo in piedi un “articolato e collaudato meccanismo fraudolento, finalizzato a far lievitare artificiosamente l’entità dei rimborsi corrisposti dal sistema sanitario”, indicando nella Scheda di Dimissione Ospedaliera un D.R.G. difforme rispetto alle reali attività come risultanti dalle cartelle cliniche.
723 le cartelle cliniche controllate dai finanzieri: di queste ben 591 presentavano anomalie, con una percentuale d’incidenza pari all’81,74%, tanto da indurre il competente Giudice del Tribunale di Messina a ritenere l’esistenza di una forma “di radicata connivenza tra controllore e controllato”.
L’alto numero delle anomalie e le conversazioni intercettate hanno convinto i magistrati della Procura di Messina che non si tratta di anomalie casuali o meri errori ma, come scrive il GIP, di “… un sistema illecito diffuso […] finalizzato a lucrare indebitamente sui rimborsi riconosciuti dalla Regione Siciliana per le prestazioni erogate dagli enti convenzionati…”, rafforzato “…dal contributo offerto dal soggetto controllore, nella specie l’Ufficio dell’ASP di Messina […] i cui funzionari, anch’essi sistematicamente, omettevano di rilevare le pur patenti irregolarità […] attestando falsamente nei verbali NOC la conformità della documentazione esaminata ai parametri previsti…”.
Centrale il ruolo della dirigente Asp Mariagiuliana Fazio, 65 anni, (di recente posta in quiescenza e per tale motivo non destinataria di provvedimento cautelare), indagata per truffa aggravata ai danno dello Stato, accesso abusivo a sistema informatico, falso e corruzione, già a capo del Nucleo operativo di controllo dell’Asp di Messina, prima e principale protagonista delle vicende oggetto d’indagine, descritta dal Giudice come soggetto che, “forte di una consolidata esperienza amministrativa e burocratica”, si è dimostrata “dotata di una pervasiva capacità di orientare l’impatto della macchina amministrativa” dalla medesima diretta, con “atteggiamento spregiudicato, piegandola a interessi di parte in funzione di un tornaconto personale”. Secondo la Finanza sono stati suoi complici consapevoli almeno suoi 14 collaboratori.
Il romano Emmanuel Miraglia. 82 anni di due società del gruppo Giomi S.p.a. -destinatarie di maggiori importi provento di truffa per 423 mila e 934euro, avrebbe fornito ad un medico dipendente della Giomi, oggi indagato per accesso abusivo a sistema informatico, le proprie credenziali riservate per consentirgli di inserire al suo posto, i dati relativi alle procedure di verifica sulle cartelle cliniche. A scoprirlo è stato il Nucleo Speciale Tutela Privacy e Frodi Tecnologiche di Roma, attraverso gli accessi al portale “Qualità Sicilia Ssr”, sottosistema “Controllo qualità e appropriatezza cartelle cliniche e Sdo”, predisposto dall’assessorato alla Salute della Regione Siciliana.
Indagato anche Domenico Francesco Chiera, 63 anni, direttore sanitario della Casa di cura gestita dalla C. O. T. S.p.a., destinataria di maggiori importi provento di truffa per 364mila e 415 euro, indagato anche per accesso abusivo al nominato sistema informatico, e il messinese Gustavo Barresi, 51 anni, socio accomandante della casa di cura Villa Salus, destinataria di maggiori importi provento di truffa per 655mila e 63 euro. I tre hanno il divieto per 4 mesi di esercitare.
Analogamente, sono emersi rapporti privilegiati anche con altre case di cura operanti a Messina: la Casa di cura Cristo Re, amministrata da Antonio Francesco Merlino, 70 anni, destinataria di maggiori importi provento di truffa per 259mila 866 euro; dove venivano effettuati da due dipendenti accessi abusivi al portate dell’assessorato.
Coinvolta la Casa di cura San Camillo amministrata dalla Provincia Sicula dei Chierici Regolari Ministri, destinataria di maggiori importi provento di truffa per 400mila e 594 euro; Il rappresentante pro tempore è Caterina Facciolà, 61 anni.
Per la Procura di Messina il ruolo centrale è quello della Fazio dell’Asp, che avrebbe dato indicazioni ai suoi collaboratori su cosa scrivere, nelle attività di ispezione alle casa di cura. “…No, non scriverla come criticità…non la…non la scrivere…”.
La Fazio suggeriva anche le modalità di intervista dei pazienti sulla qualità del servizio offerto, dicendo che venisse svolta in presenza del direttore sanitario, così da condizionare i pazienti nelle risposte che avrebbero fornito “…fate delle interviste ai pazienti…insieme al direttore sanitario …[…]…però fallo col direttore sanitario così hanno una remora nel ….ok ci siamo capiti!…”.
L’ex dirigente Asp si sarebbe resa protagonista anche di ulteriori gravi ipotesi di reato, che il Giudice ha definito “mercimonio della funzione pubblica”, in funzione del perseguimento di indebite utilità: avrebbe chiesto a Miraglia di promuovere il figlio, suo dipendente. La società da lui amministrata avrebbe “omaggiato” la donna di gioielli acquistati e pagati dalla stessa casa di cura in una gioielleria cittadina. Alla Cot la donna avrebbe ottenuto l’assunzione del compagno di una sua collaboratrice amministrativa e a Villa Salus una donna di una donna di suo interesse.