Le colline della nostra città, ma anche della provincia, sono particolarmente vulnerabili. L’orografia del territorio favorisce infatti frequenti e rovinose frane, la cui caduta determina spesso disagi e pericoli per abitazioni, strade o quant’altro viene a trovarsi nelle zone sottostanti. A rendere ancor più gravosa la situazione generale è talvolta anche l’assenza di vegetazione e quindi di radici in grado di trattenere il terreno friabile nelle zone più scoscese. Cercare di tutelare le superfici verdi, e quindi la natura, dovrebbe rappresentare un costante impegno da parte di tutti.
E’ per tale ragione che oggi (a seguito di una segnalazione, ndr) mi corre l’obbligo di additare alle Autorità competenti un problema che, da qualche tempo, nel silenzio più assoluto, sta investendo la collina che si innalza a 150 metri sul livello del mare, sulla quale sorge il cosiddetto “Castellaccio”, struttura da tempo in colpevole abbandono, che domina la vallata del rione Gravitelli. Uno smottamento sta interessando la zona boschiva a circa 50-100 metri a Sud-Est dell’angolo Sud-Est della fortificazione di origine medievale; poi ridotta, intorno alla metà del ‘500, a pianta quadrangolare con bastioni cuspidati agli angoli, dall’architetto bergamasco Antonio Ferramolino, progettista anche del Forte Gonzaga.
Un bene, “u’ Castiddazzu”, ricco di peculiarità storico-architettoniche che, tra terremoti, guerre e la dannosa “mano dell’uomo”, non è stato possibile recuperare nella maniera più adeguata. Belle parole e auspicati progetti di recupero e rilancio dell’edificio storico, insomma, sono puntualmente “evaporati”. E con essi è “sfumata” pure la possibile istituzione, ad esempio, di un più ampio “Parco dei forti” in un sito che costituisce un autentico “polmone verde” nel cuore della nostra città; ricco, tra l’altro, di una flora che andrebbe maggiormente rispettata. Flora caratterizzata anche dalla presenza di un gran numero di agavi con le loro lunghe e carnose foglie disposte a rosetta che arrivano a due metri di lunghezza; pianta particolare, l’agave (in Sicilia conosciuta anche come zabbàra o zammàra), che può vivere fino a 30 anni e muore dopo aver generato un unico fiore giallastro, oggetto di miti e leggende.
E ne è ricco proprio quell’habitat isolato e quindi ben conservato nella valle di Gravitelli, oggi minacciato da una dinamica franosa che ha già trascinato con sé molti alberi e sul quale sarebbe opportuno intervenire. Magari utilizzando fondi europei o statali destinati a progettazioni per la realizzazione di sentieri naturalistici in aree protette. Prima che sia troppo tardi.